venerdì 28 maggio 2010

Robe du 50


Nadin Bergunsola e Gipi l'bel avevano poco da fare in quel torrido luglio del 1950, per le vie di Bra.
Si che tra poco cominciavano le sagre paesane piene di belle figliole e vino a litri, ma per combattere come si deve quelle tre del pomeriggio afoso braidese, pieni di vita e senza un picchino in tasca, serviva fantasia e molto coraggio.
"Farei un giro al San matteo, all'osteria del Barbabuc.Servono angurie fresche e cocacola."
"Fottiti. Parlami di angurie e cocacola sotto sto caldo.Chi paga poi?"
"Bertu dla Mota.Siamo amici. Sicuro, paga lui. Aggiustiamo poi noi.Solo, arrivarci."
"Arrivarci."
Ora, per chi non è di Bra, serve sapere che San Matteo è una frazione in collina molto bella, con chiesetta e osteria, ma così in cima che se non avete macchina o motocicletta, dovete avere per forza buoni plomoni per spingere come dannati sui pedali della bicicletta o armarvi di santa pazienza per fare i sei tornanti ripidissimi.
"Avere una bici."
"La mia l'ho prestata a Cecu. mai più vista, nè lei nè cecu."
"Chi ha bici a quest'ora?"
"Burdeìs.andiamo dal ciclista."
"Col cavolo.Gli devo ancora due riparazioni di gomme.Se mi vede mi impicca"
"Tu vieni con me e stai zitto."
La piazza era calda e deserta, l'aria sapeva di polvere e le piante del viale promettevano frescura e refrigerio.Dalle officine venivano i rintocchi dei martelli dei fabbri e dei conciapelle, che di li a poco avrebbero fatto la merenda con due spanne di salsiccia e il mès liter.
Il ciclista BUrdeìs era chino su una balloncina intento alla bestemmia , i cavallotti dei freni non tornavano e il cliente si era già lamentato più di una volta.
Dopotutto sul canotto c'era il suo nome e non voleva sfigurare, una bici di 10 anni appena, che figure.
Come li vide alzò appena lo sguuardo, ammiccando al debitore.
"Burdeìs, il mio amico qui vuole pagarti..."
Alla parola pagare , tanto Nadin quanto Burdeis fecero tanto d'occhi.
Nadin come a dire Diocristo, ma se non ho una lira in tasca, Burdeìs solo stupito, ma divertito anche, sicuro, un diversivo in quella calura dannatissima.
"Paga nadìn, come prendi la paga tutte le volte che sali su una bici".
Nadìn, che era squattrinato ma furbo, capì al volo.
"ma stai bravo, che non stai in piedi manco con una bastone di diecimila .fanfluù, fafiochè..."
Gli insulti volavano sempre più accesi, menter il divertito Burdeìs, assisteva seduto sullo sgabello unto.
"Pistola d'un balengo, avessi qui una bella Bianchi vedi come te suono.Pieno di zuppa, tu."
"Su su , state bravi. Ho giusto bisogno che qualcuno provi questa ballonetta.allora, Nadìn prendila.
E tu, Gipi, vediamo se parli ancora mentre pedali questa.Diocristo, una Bianchi nuova di pacca, del 49.Fammi una riga e te la faccio mangiare."
"Ci saranno cinquecento metri da qui al distributore al fondo?"
"Sicuro.Fate i bravi, mettetevi in riga"
"Gli faccio mangiare la polvere a questo badola.dagli 100 metri di vantaggio.Su!!"
A nulla valsero le richieste.
Mentre Burdeìs li metteva in riga e dava il via,i due partvano come forsennati ,come inseguiti da un demonio .
"Sei poi tu che ci hai dato il via!"
Divertito, Burdeìs decise di sedersi al fresco per aspettare meglio.
Ancora dopo un'ora la piazza era calda e secca , col sole alto che bruciava gli infissi in legno e mandava in alto la fragranza dell'olio sparso a terra.

mercoledì 12 maggio 2010

Ti guardo, ma non ti vedo.Non parli, ma ti ascolto.


Ciò che guardo ma non vedo sono le cose che non m'attirano, e che non possono esser viste da chi veder non vuole e nemmeno sa.
Particolari in chiaroscuro dal tono sfumato, una perla per l'occhio allenato.
Sono le parole che fuggono veloci e indolori, mentre altre tagliano con la precisione del chirurgo, nell'indifferenza di una conversazione stanca.
Sono le bici che non han nome e parlare non possono, mentre compagne altrettanto mute possono con la sola forza del blasone e della polvere lieve catturare il mio sguardo e il mio tempo.
Vorrei poter vedere in un lampo ciò che già esiste ma ancora ignoro.
Le parole dolci, la luce più tenue,gli abbracci e insieme l'oggetto nascosto che mi aspetta.
Vorrei poter nascondere le infinite rabbie e i dolori c che io solo e per me solo offuscano ore liete e serene, cancellando d'un botto quelle dannate sensibilità che mi legano a una percezione miseramente umana.
Un sogno d'un istante, svanito nel momento del compimento.

sabato 1 maggio 2010

Certe sere, in Langa...


Gepe tutte le sere, dopo il lavoro, andava su per la collina a trovare la sua Pierina.
Erano dieci chilometri di stradacce a tiraculo su dalla Morra, e ci volevano bei polmoni e gambe e voglia, molta voglia, per trovare l'energia di spingere sulla sua Prina in verde.
Telaio in ferraccio ex bacchetta ma parafanghi cerchi freni manubrio portaferri pedali e persino fanali in alluminio.
I tempi bui di guerra erano appena scomparsi, bisognava lavorare secco dalle 6 del mattino alle 8 di sera,pausa mezz'ora , e non fiatare, per permettersi quel lusso di alluminii e sportività.
Gepe era il figlio del capomastro , e ogni sera bestemmiando reclamava il suo diritto alla Della Ferrera 600 cassonata del padre, sulla quale si caricavano ogni santa mattina due operai e boglioli e cementi vari.
"Serve per il lavoro e non per i divertimenti!Va in bici che sei giovane..."
Questo era il mio bisnonno e lui lo rispettava, perciò con la rabbia dentro, ma anche voglie, pedalava quei dieci chilometri d'inferno per stare un momento con la sua amata.
Solo dopo qualche lotta era arrivato il cambio Simplex a 3 velocità, che rendeva meno forti quelle salitacce da infarto.
Tra i giovanotti era di certo il più invidiato, avendo bici sportiva fidanzata e padre con la moto.
Tornare vivi dalla guerra era stato già molto, ma ora, oltre al lavoro, si doveva pensare al futuro, al 49 che stava arrivando lesto dopo un'estate calda e tormentata.
La sera mandava già odori di terra e di albere e voci si perdevano tra i filari di uve.
Tutte queste cose,e molto altro ancora, Gepe le pensava tra un tornante e l'altro, la sua bella in mente.