giovedì 27 gennaio 2011

La pioggia è gioia (12)


L'asfalto cominciava a mandare calore e nel passeggiare Eroe sentì quel vuoto inutile dentro.
Capì che qualcosa stava per rompersi, che poco sarebbe stato come prima.
Un mucchio di cose erano successe e lo avevano lavorato, a volte accorgendosene, e bene.
Era lui, lo stesso che correva bambino con gli altri per fossi a cercar rane, lo stesso che baciò quelle notti la sua bella di nascosto sui fienili, lui che quasi si fece travolgere per toccare la maglietta di Girardengo, lui che sparò e uccise, e col sorriso dovette tornare a vivere.
Gli anni erano volati senza sosta e senza voltarsi, dono gratuito ma ingrato, e proprio questa ingratitudine ora respirava .
Queste e un mucchio di altre cose, insieme a quelle che lo stavano circondando in quei giorni ancora afosi di un'estate che pareva non finire, lo lavoravano e lo rendevano sempre più simile all'uomo che stava diventando.
Passeggiare voleva dire sapere, voleva dire sudare e tremare nella certezza di conoscere ciò che già sapeva da anni.
Quello che per anni era stato il suo tormento, il suo paragone impossibile.
Eroe portava ancora i calzoni corti e correva con una scassatissima bicicletta verde a rocchetto fisso anteguerra , quando conobbe Lucia, Cia per tutti.
Passava davanti alla fontana della stazione come ogni mattina ,e bella se la vedeva rinfrescarsi nelle acque torbide di foglie.
Cominciava allora a farsi le ossa,e non erano solo biciclette le gemme della corona da portare sulla testa quei giorni.
Iniziò ben presto a guardarla di nascosto, lasciandole un fazzoletto e una mela sul marmo della fontana.
Lei prendeva e si guardava intorno, sapendosi guardata e sorridendo con quella malizia bambina che Andrea sognava notte e giorno.
Fu dopo quattro mattine che se la vide arrivare in officina , bella e profumata con la grazia dei suoi 16 anni.
"Sono venuto a riportarti i fazzoletti.Devi fare più attenzione, erano tutti sporchi di grasso.Grazie per le mele."
Paonazzo come un peperone, sotto gli occhi divertiti di Burdeis, Eroe chiese un cinque minuti di permesso.
"Da quando sapevi?"
"Ma da subito, povero farinello.Credi che nasconderti dietro ai pini servisse a qualcosa?"
"E allora perchè...?"
"Volevo vedere quanto andavi avanti...avresti consumato il corredo di tua madre?"
"E finite le mele della cantina...mio padre le conta, ma non importava."
"Non bastava chiedermi di fare una passeggiata?"
"Non si fa cosi, o almeno, io non..."
"Non lo hai mai fatto, vero?"
"No."
"Puoi farlo ora.Son qua che aspetto."
"Esco alle sei.Fino al Falchetto?"
"Anche io alle sei.Ma alla Riva.Abito là."
"Dalla stazione,
stasera."
"Stasera,ciao."
Per mesi erano stati i morosetti "dlà stasiun".
Pioggia o sole, i macchinisti, i camicia nera o i viandanti che si trovavano a passare da quelle parti alle 6 di sera, vedevano i due giovani allontanarsi per la campagna, lui al manubrio , lei sulla canna gambe a lato.
Manco un anno andò avanti.
Fu una sera di maggio in cui i tigli mandavano profumo e dolcezza, che le vide le lacrime e capì tutto e subito.
Non ci furono bisogno di molte parole, passeggiando verso San Matteo.
"Ce ne andiamo.Mio padre cambia fattore."
"Verrò da te.Dovunque."
"A saperlo.Nemmeno lui lo sa.Siam nell bagna."
"Possiamo sposarci.Io voglio bene, te?"
"Non so.Non dire goffagini.Abbiam ancora il latte alla bocca.Dimenticami.Trovati una buona moglie."
"Voglio te."
"No.Non cercarmi più.Fattene una ragione.L'amore finisce."

Con quelle parole fuggì, lesta tra le stoppie.
Se ne andò chissadove due giorni dopo, non una parola di più.
Fu il primo dolore di Eroe, il primo e più forte.
Qualcosa stava per tornare a galla, sotto quel sole ostinato del Cinquanta.

lunedì 17 gennaio 2011

Fiore triste




Fiore triste
Così bello
Così solo

Non è casa tua
questa terra ingrata
brulla di invidie
e di brutture

Non per i tuoi petali
Il grigio del cielo
Apre ogni giorno
i suoi mogi battenti


Delle tue lacrime,
amara rugiada
ti pasci silente.


Attendi,
Tra gl'alti fusti
Folli idoli
D'un tempo non tuo.

Un raggio di sole.
Sorriso inaspettato
Ti darà lo sbocciare
Che sapevi.

Piangendo forte
Riderai il tuo bagliore
La tua vita
Il tuo colore.

E fino alla fine,
fino all'ultimo petalo,
di gusto
Riderai.

sabato 8 gennaio 2011

Macchina da guerra




Qualcuno ricorderà un mio vecchio post in cui descrivevo la scoperta di nobile ferraglia, avvenuta in montagna(dalla montagna con amore).
Una di queste, rivisitata in questi giorni, scopro non essere la Star che credevo ma una.....Irack.
Nome sconosciuto ma....tristemente rassomigliante a quell'Iraq a tutti noto.
Non bastasse, un bel colore verde ..quasi militare.Mah?
Di certo combattè le sue battaglie, su e giù dalla montagna , con in groppa qualche baldo margaro che si avventurava nella piana.
La cosa che mi colpì da subito furono i forcellini posteriori, tipo corsa, con un bel giroruota originale con tanto di galletti in ottone.
Dopo una sommaria lettura, avevo scambiato la scritta Irack con...Star!
Succede, ma nel ripulirla meglio, mi accorgo di quanto ovunque sia stampigliato il curioso marchio: mozzi, guarnitura completa, addirittura...la catena!!!!
Se il telaio tradisce la sua origine corsaiola (a proposito, sotto la scatola della guarnitura spicca un bel CA C..corsa competizione???), a comandare la macchina provvede un bel manubrio Bowden con impianto frenante della stessa casa Inglese.
Pedali in ferro , a sega, senza marca alcuna.
Solo il parafango posteriore era sopravvissuto, stretto, tipo maino.
Non essendoci più l'anteriore, ho pensato di far risaltare l'anzianità e...la vocazione corsaiola...togliendoli del tutto, nella speranza di trovarne un analogo anteriore.
Solo una manopola in cartone parla: Colombo, Diano MArina.Un rivenditore?Un grossista?Mah?
Aspettiamo la primavera per provarla insieme alle altre ...anta sorelle in attesa!!