lunedì 24 ottobre 2011

Rola, per caso.


Metti una domenica mattina di freddo e quattro banchi per il paese.
Metti due chiacchere con un buon amico di bici.
Mettici le bici, sempre, appoggiate a una balaustra dei portici.
Mettici pennellate sparse, brutte, cattive.
Mettici le manopole di osso e il carterone, i bei pedali a sei gommini.
Mettici pochi euro, e mettitela tra le mani.
Mettila in cortile, lesto.
Mettici attenzione: i forcellini dietro sanno di corsa, la R del portafanale non è un caso.
Mettici i mozzi con oliatore a fascetta.
Metti che sia una Rola, per caso.
Mettere quelle manopole e quei pedali a ricambio?
Metti di no, è una Rola!
Rola, cercata spesso, sottomarca di Frejus-Torino, particolare proprio per quelle prelibatezze, era bicicletta ben considerata dai ciclisti e diffusa nelle mie zone.
E ora, ragazzo, mettiti sotto.
Nessuna scusa, è una Rola!

lunedì 17 ottobre 2011

Parola mia, che bici!



Parola, dissi all'anziano in quella cantina buia che sapeva di vino e di paglia, mai vista una bici del genere.
Tra bottiglie vuote e cartoni l'umido aveva corroso le gomme e buona parte del legno del cerchio posteriore.
Ma non quelle decalche che resistono ai freddi e agl'anni che corrono.
Manubrio marcato Confa 1938 e tracce di vernici con colori che non usano più da lustri.
Era d'un imbianchino?
Parola mia, non posso giurarlo, ma sarebbe delitto cancellare quelle lacrime colorate e allora vai di lucido, paglietta e cera, ma lontano da loro che orgoliose raccontano una Parola dimenticata.
Il bianco del parafango dietro tiene bene, così la gemma in vetro, ussara ancora per i tempi che verranno.




Paura per chi ci segue?
Una Parola farsi vedere,aggiungiamoci un lucchetto con luce, sì da scoraggiare malintenzionati e tamponatori.
Al campanello provvedette il buon Parola, regalandoci il suo, firmato, e appendendocelo stretto stretto alla sinistra del manubrio, così stertto che ancora lì proprio diffonde il suo cicalare.
A vedere davanti un Dansi vorrà illuminarci il cammino, pur non troppo ostile per non impensierire i lignei cerchioni.





Chissà quante ne sono sopravvissute, chissà se una sorellina a telaio aperto uscirà fuori da qualche parte.
Che sia l'unica, non posso dirlo: sarebbe la mia Parola contro la vostra.

venerdì 14 ottobre 2011

La pioggia è gioia, 14


Eroe conosceva Giovanni perchè tutti parlavano del nipote del pasticcere con ammirazione e curiosità.
Aveva appena pubblicato un romanzo.,ma pur essendo famoso e conosciuto non disdegnava la compagnia di quei giovani che come lui vivevano quel tempo.
Camminavano ora ,bottiglie in mano, sulle creste delle rocche di Pocapaglia.
La notte donava un'aura spettrale ai pendii, le prime foglie secche scricchiolavano sotto il loro calpestare.
"Queste son notti da star svegli, da amare."sospirava Giovanni nei buii e tra le frasche fruscianti.
Eroe pensava a quel pomeriggio, alle lacrime che ancora gli rigavano il viso, alle urla e alla gente uscita di casa, subito.
A Bernardo, a quella energia viva e la rabbia, tanta, che tanto graffiava con il solo sguardo.
Nel bosco non c’erano che loro.Tutta la notte pareva concentrarsi su quegli
alberi che ora il vento faceva fremere come un brivido.
Solo qualche latrato di cani attaccati alla catena in una cascina in fondo,
li ridestava dai loro passi e dal crepitare che i loro piedi producevano sulle
foglie morte.
Sei abituato a queste passeggiate, vero?”chiedeva Eroe.
“Abbastanza.Il bosco è un po’la mia casa.Vengo qui quando voglio stare in
buona compagnia.Su bevi, hai freddo.”

Arrivarono a un bivio sullo stradone.A Eroe parve di tornare a sei anni prima, quando si vagabondava per la campagna disertando accuratamente le strade battute da nazisti e fascisti , stupendosi ogni volta, dopo ore di cammino, che potessero ancora esistere delle cose chiamate strade.
Prendiamo giù di qui.Ci fermiamo alla grotta dell’eremita.Sei mai stato?”
“Una volta.Mia madre gli portava mangiare e qualche soldo perché pregasse per
me ammalato.Povera donna.”

Povera donna”, ripetè Gianni.
Per arrivare alla grotta si passava su stradette a strapiombo sulle rocche ,
che la notte rendeva ancora più spettrali e tetre.Sotto quella terra di sabbia
riposavano decine di morti fucilati in guerra e fu dietro ad un albero, quando
un gatto scappò via lesto, che Eroe cacciò un urlo da far tremare.
Ohè, ciclista!Mi vuoi svegliare l’eremita?”
Sapeva della morte dell’uomo , anche lui era sepolto da quelle parti, ucciso
per una vendetta partigiana.
Era un reduce combattente della guerra del '36 , e tornato a casa , per non
vedere le corna della moglie , si decise eremita e vestito di sacco e fez si
scavò una grotta nella sabbia di Pocapaglia.Qui prese moglie e fece figli ,
vivendo delle offerte della popolazione superstiziosa e bigotta.
In tempo di guerra, essendo per lui tempo di fame come per altri, si
aggiustava cacciando di sfroso e dano informazioni a fascisti e partigiani.
Uno di loro se lo trovò davanti un mattino d’autunno piovoso e non ebbe tempo
a salutarlo che una raffica di mitraglia lo ridusse colabrodo,non senza
camminare e restare in piedi fin quasi a cadergli addosso.
Si dice che poi quell’uomo sia diventato matto e ancora oggi se lo trovi
davanti di notte, nei sogni e nel delirio.
Queste e molte altre cose pensava Eroe prima di urlare, ma ecco che dietro un
albero mezzo diroccato e delle sterpaglie apparve l’ingresso del cunicolo.
C’è ancora la madonnina .Guarda, qualcuno viene a mettere fiori.Chissà
chi.”
“Qualcuno che ha le mie madonne.Ne ho talmente tante che se mi mettessero un
fiore davanti ad ognuna aprirei una fioreria.”
“Questa è bella.Devo scriverla, da qualche parte.”
“Ma si, scrittore, scrivi.Scrivi di quest’uomo che in una notte di fine estate
del 50 non sa più come giri il mondo e sa di un figlio quando ormai è meccanico
fatto.Che mondo, che cognizione.”
"Tu devi andartene.Scappare via.Sparire.Non hai una fidanzata?"
"Si.Bella roba.Perdere il posto.La faccia."

"Ma che faccia?Chi saprà ancora di te magari nel 2000?Nessuno.Anzi, prenditi quel ragazzo, parla al Padrone.Capirà,é un uomo di mondo.Sicuro.Gli parli e vi fate un viaggio.Soldi da parte ne hai?"
"Qualcosa.Ma non subito.Strano. Soffro ma sento di vedere delle cose come mai viste.Mai successo?"
"Si, capita.Sei eccitato.Stupito.Non è detto che sia una cosa brutta.Non per me, almeno.Piera lo sa?"
"No.Sa che sto male.Povera donna anche lei.Povere tutte le donne della mia vita."
"Ora basta.Che diavolo.Bevi una volta e fai l'uomo.O ti han chiamato Eroe perchè hai salvato un gatto su una pianta?"
"Ridi te, sei giovane.Hai tutta la vita per fare danni.Ma io?Trentanni.E un cumulo di macerie alle spalle."
"Poi c'è sua madre.Cosa conti di fare?Dovrai pur parlarle."
"Questo è un altro discorso.Saprò io cosa dire.Ora bisogna aggiustare le cose con lui, con Piera, i miei.O Madonna, non mi sembra manco di essere in me.Che robe."
"Su, torniamo, tra un po' si fa mattina.Domani lavori?"
"Così pare.Tu?sempre a fare vagabondate?"
"Studio.Domani torino, film, lezioni, qualche poker.Così va la vita.E così va bene."

Lanciando la bottiglia vuota giù dallo strapiombo, risero ancora una volta.
Risero sulla vita, sulle disgrazie, sui morti e sui vivi, in un blasfemo coro che solo loro potevano capire.
Erano sbronzi, ma solo poco.
La notte lasciava le ultime stelle a un'altro mondo ignaro di quelle faccende, mentre i due scendevano a mezza costa sul versante del Fey.Primi operai scendevano dalle colline infagottati per proteggersi dalle frescure del mattino, fermandosi all'osteria sotto i platani a berne un mestolo, o il grappino i più forti di stomaco.
Sentendo vuoto e sete proprio, i due videro la porta amica e ultima complice di quella nottata , e col sorriso la spinsero.
Fumo, luce e chiasso li salutarono festosi come un cane quando torna il padrone, e in poche occhiate riuscirono a ritrovarsi tutti i discorsi fatti e quella strana amicizia che nemmeno cose del genere avrebbero mai scalfito.
"Piove domani?"chiedeva un carrettiere di passaggio.
"Non qui a Bra.Non ancora."

martedì 4 ottobre 2011

L'arte di arrangiarsi.


Ci sono oggetti che devono viverci dentro, per avere un’identità.
A ben pensarci, ogni oggetto, per essere tale, deve essere definito in un
contesto e da una volontà.
Senza perderci nella filosofia, oggi contemplo queste reliquie italo tedesche
che ci giungono da un’epoca in cui salvare era obbligo, non virtù.
Guardo il canotto di questa bicicletta: è lo stesso che mi affascinò un
pomeriggio d’ozio speso a vagabondare in cerca di vecchie trappole.


Buttata lì, tra altre consorelle senza più alcuna apparente dignità, faceva
male a vedersi.
La polvere e la ruggine l’avevano ricoperta e lei non era più un mezzo di
trasporto: era mozzi con oliatore e una bella dinamo a cipolla anni 20.
Buffo come spesse volte non ci si renda conto di perdere il senso globale di
un uomo, di una cosa, e la si veda sotto certe lenti così spesse da farci
apparire come un Unico solo certi dettagli che la compongono.
Per me era un’Epoca, un modo di intendere la vita, una concezione persa.
Un bel telaio tedesco Durkopp con movimento serrato da un dado sulla sinistra,
tubi stretti a congiunzioni invisibili, manubrio roller ben nichelato.
Belle cose, ma certo.
Ma il canotto tranciato o storto in epoche passate era stato con maestria
sostituito da un altro ben saldato a ottone e brasato e limato di fino per
farci stare nuove chiocciole.
Il tutto guarnito da spessorame vario per dare un tocco di funzionalità alla
faccenda.
Dio come ho amato subito questa bici!
L’ho preferita ad altre di ben più nobile lignaggio dedicandole le migliori
ore della serata o gli ultimi calori pomeridiani di un settembre morente.
E mi ha ripagato, ogni volta.
Come ora, che dopo il primo giro mi par di sentire le anime di quegli
artigiani passati fondersi col rotolare delle gomme gonfie, ancora una volta,
lo stridore lieve del pattino sul cerchione.
Quell’aroma di cera d’api è vita sui ferri e sull’ottone che riluce come
millenni fa, quando eravamo uomini Faber e non Consumer.
Uomini intelligenti che se la sapevano cavare non solo con agevoli e un poco
vigliacche sostituzioni, ma con l’Arte di arrangiarsi e recuperare , di
risparmiare per necessità più che per mera soddisfazione.
In quest’epoca di consumismo sfrenato (ma ancora per poco , dico io), questa
bici vuole essere esempio di passione che va elegante a fondersi con la
necessità di un tempo lontano sempre più vicino.
Di momenti d’un Autentica arte che nulla spartisce con le rovinose possibilità
odierne.
Per fortuna o purtroppo.