martedì 29 novembre 2011

Il ratto.


Nevicava forte da quasi dieci giorni quel Dicembre del '51.
Chi avesse avuto voglia di mettere il naso fuori alle sette del mattino, avrebbe potuto vedere i radi passanti camminare con passo veloce avvolti nelle loro mantelle ,berretto in testa, mandare sbuffi di aria fredda ad ogni passo.
Alcuni, ma erano i meno, avventurarsi tra i rigagnoli di neve sciolta con la bicicletta dalle manopole avvolte in pelle di coniglio per non farsi venire i geloni, in Vespa o Lambretta i padroni di bottega o i Dottori.
Solo il Commendatore Bunamì, detto lo Sgnùr , si permetteva il lusso dell'Alfa quei giorni, pur restandosene al caldo davanti al suo camino di marmo la maggior parte delle ore.
Gli altri, come Gipi e Nadìn, attendevano cauti che le ore si traformassero in luce e la temperatura si alzasse di qualche grado, per andare in cerca di ferro o fare qualche buon affare.
Il campanile dei Battuti Bianchi rintoccava 9 colpi quando i due si ritrovarono davanti al Bar della Stazione, rintronati dal sonno e dal freddo intenso.
Viaggiatori erano scesi dal treno di Alba , erano donne ben vestite che, sentendo avvicinarsi il sabato, entravano nelle mercerie di Bra e al Mercato del venerdì a comprare stoffe e profumi, fermandosi poi alla pasticceria Berzia a prendere un dolce, le caramelle alla genziana o, per chi aveva marito, un misurino di grappa buona.
Sentendo il freddo e il profumo intenso che emanavano, Gipi non potè non pensare a qualcosa di caldo, una donna nuda nel letto, un vin brulè, le giornate passate al sole, nei boschi d'estate.
Volle dirlo a Nadìn.
"A nasconderti tu e le tua manie del cavolo.Qua a ghiacciare come pinguini, lui pensa alle donne.Ma vatti a nascondere sotto la gonna di tua madre, vai."
"Nessuno butta ferro.Niente ferro, niente cucù.Niente cucù, niente vino."
"Certo che oggi porti proprio un buonumore.Facevo prima a non alzarmi."

Intanto che i due discutevano davanti al Chiosco, dal fondo del curvone sentirono uno scoppiettare noto.
Un battito ben cadenzato si avvicinava lento, sicuro.
Era Tàle della Riva , muratore, falegname, venditore di ferro, barbiere, calciatore e forte scommettitore di pallone elastico, sull'inseparabile Frera anteguerra con cassone in legno-sidecar.
Tale strumento veniva di volta in volta aggiornato a seconda della bisogna: rinforzato quando si caricava ferro, colmo di cazzuole e boglioli quando vi era qualche muro da fare, ripulito e con sedile in pelle per i rarissimi appuntamenti galanti.
Tàle sapeva sempre intrufolarsi dappertutto, per guadagno e per piacere.
Fu lui a trovare quella bicicletta con la ruota grande davanti a un folle che la voleva usare la domenica.
Fu lui a far sposare Bertina e Cicotto.
Perchè Tàle è buono.
Sa fare.
Sa vivere.
Vedendoselo venire incontro allegro in quel mattino di geloni, i due sorrisero all'unisono.
"Oh Tàle, cosa conti?"
."Cosa vuoi, c'è la malora in giro.Nessuno butta , nessuno compera.Una miseria."
"Ci andrebbe del vino."
"Ci andrebbe sicuro.Saprei anche dove berlo, e buono.Ma ci va il companatico."
"Sarebbe?"
""Sarebbe che stasera i Bunàrd fanno cena di leva e mi hanno invitato.Ma in paga vogliono un coniglio.Vai a trovarlo un coniglio con sto tempo.Chiedono delle schioppettate"

Fu in quel momento che a Nadìn venne in mente l'idea del ratto.
"Io so dove trovarlo.Se lo porto io ci invitano ?"
A quel punto Gipi fece tanto d'occhi, come a dire, Diocristo ma se non abbiamo neanche i soldi per piangere.
Ma vedendo Nadìn sicuro e sorridente, volle dargli corda.
"Posso provare.Sarebbe meglio già pronto, sai com'è, la cena è alle 8."
"Tutto pronto, stai sicuro.Lo cucinerà mia madre.Lo sai come lo fa bene."
"Va bene.Alle 730 dai Battuti allora."
"A dopo."

I saluti proseguirono lenti , perchè la Frera non voleva andare in moto e furono proprio le spinte dei due amici, sotto gli occhi dei ferrovieri incuriositi e divertiti a farla partire sbuffando.
"Tu sei folle.Dove lo prendiamo un coniglio.Con quel che costa.Andrebbe meglio farsi fare credito."
"Vieni con me, fuletto.Andiamo a trovare Rinina."
"Chi?Quella panciona?Potesse mi salta sulle trippe ogni volta che mi vede."
"Appunto.Tu gliele fai buone e io faccio il resto."
"Ma non ha conigli."
"Lascia fare."
"Cosa non si fa per un bicchiere.Andiamo solo , almeno mi scaldo."

La casa di Rinina era appena fuori dal paese, sulla strada che porta alla Riva.
Era una cascina che conobbe tempi migliori e da lontano i due la videro, la terra che scricchiolava sotto i piedi.
"Adesso tu la saluti e vai dentro.Stai almeno una mezz'ora, io faccio cosa devo e ci vediamo da me a mezzodì."
"Facciamo cambio?Oh Madonna quella trippona addosso.E se si fa delle idee?"
"E lasciale fare.Le donne si fanno sempre delle idee."

Entrato in casa sotto gli occhi accessi della Rinina, Gipi passò la mattina più calda degli ultimi tempi.
Se fosse stato solo il freddo il suo problema, ebbene, la Rinina lo aveva riscaldato fino all'Agosto a venire.
Pur nel bordello del momento, Gipi pensava a cosa potesse avere in mente Nadìn.
Ma,sapendone la machiavellica complicata, volle fidarsi.
"Che bellezza, non me l'aspettavo.Sempre sola con quella gatta .Dovresti venire a trovarmi più spesso,eh Gipi??"
"Farò il possibile.Ma ora lasciami andare.Ho da fare."
"Con quella lingera di Nadìn, vero?"
"Ciao bella quaglia."

Contadini lo videro uscire tenendosi le anche per un bel chilometro.
Avrebbero pensato cosa è giusto, sapendo tutti della fama della Rinina , sempre affamata come la sua gatta.
Entrato nel portone, apparve Nadìn mezzo insanguinato, il viso coperto di graffi.
"Un'altra volta facciamo cambio sì, brutto sporcaccione."
"Che hai fatto?"
"Quella bagascia di una gatta. Non si faceva prendere manco con le buone.Ma l'ho vinta io, l'ho vinta."
"Le hai rapito la gatta?Ma sei folle?Dov'è ora?"
"In cantina.Non son ancora riuscito a ammazzarla."
"Ma tu sei folle nel cervello.Portiamo un gatto?"
"E allora?Mica lo mangiamo noi."
"Ma le era affezionata,pensaci un momento.E lo ammazzi tu?"
"Tu no di sicuro, sempre con le donne come sei."
"Andiamo giù, andiamo.Tienimela almeno ferma.Poi dobbiamo lasciarla almeno tre ore sotto la neve, o saprà di piscio."

Scendendo le scale, a Gipi parve di commettere omicidio e chissà perchè ora quel vino proprio non riusciva più a desiderarlo.
"Occhio che apro la porta."
Aperta la porta e accesa la lampadina che pendeva dal filo, i due se la videro in un angolo con qualcosa di grosso in bocca.Si dimenava ancora, ma era chiaro che stava per lasciarci le cuoia.
"Oh Madonna che ratto.Brava gatta.Peccato ammazzarla."
"Guarda che bestia.Sarà sei etti tutti.Come un coniglietto, no?"

Nadìn, assetato ma buono come Gipi, capì subito come sarebbero andate le cose , e capì che per un bicchiere di vino si fa questo ed altro.
"Lascia qua, brutta bestia.La tua fame ti ha salvata."
"Porta la gatta vicino alla cascina, va.E non farti vedere.Figure da cioccolatai che facciamo."

La notte era chiara, limpida.
Il freddo secco dava all'aria la consistenza di una coltellata e le mani sul bronzino annerito di Nadìn stavano ormai congelando.
Arrivando per la stradina sentivano già voci e suoni, luci appese in alto.
"Arriva la carne.Sentirete che carne, parola mia.Un coniglietto nato da poco, mi è rincresciuto ammazzarlo, ma Tàle si è tanto raccomandato."
La padrona di casa sorrideva alle parole di Nadìn, mentre Tàle da dietro annuiva coi denti neri e la cicca tra le labbra.
A tavola , bottiglie a mano, tutti assaggiavano le pietanze e il coniglio , a detta di tutti, era proprio ciò che Dio fece, e come mai che propio loro non ne mangiavano.
"Capirete, ci sembra una cosa.Ce n'è già poco, non vorremmo togliervelo di bocca.Mangiate, mangiate, tutta salute."
Un poco brilli, nell'ombra del porticato, Nadìn e Gipi si guardarono senza parlare, appena un sorriso all'angolo delle labbra.
Tenevano i bicchieri in mano con quella grazia di chi sa quanto viene a costare il bere.
"Poveri diavoli, Fan quasi pena."
"A loro piace.Contenti loro."
"Contenti noi."
"Appunto."

Il freddo della notte veniva col vento che spirava da dietro la collina e i due, sentendosi il buono dell'uomo fatto e una gioia antica ballargli dentro, rientrarono .
I bicchieri erano quasi vuoti.

sabato 26 novembre 2011

Correrai.


Non ho mai parlato di bici d'altri, qui.
Ma l'amicizia, l'emozione del ritrovamento, contagiano lesti il mio cuore e qualcosa si muove dentro me.
Non resto insensibile di fronte a simili ritrovamenti.
Immagini, sogni, si condensano e devono parlare.
Come lei.
Che ancora non conosco, ma come una diva che vi fa sognare dalle pagine delle riviste , e il cuore batte forte, così io me la immagino tra le dita, densa, concreta.
La sento la sua ruggine, la polvere che l'ha ammantata per anni,il buio di cui ha fatto indigestione.
Ha visto passare stagioni, mesi, anni, oggetti son giunti e spariti.
Quella notte che fu vostra , ne son certo, credette il peggio.
Credette che quel ferro che la fece quello che è, sarebbe tornato all'informe materia, e più nessun amore, ma solo fretta e indifferenza.
Li hai visti negli occhi, quei volponi dal cuore buono, hai capito dai loro sguardi e da quelle carezze affettuose sui mozzi e sulle decalche, che qualcosa sarebbe cambiato.
Tornato.
Correvi forte, forse per amore, forse per vincere.
1926 dice il bollo ancorato al canotto alla moda dei corridori.
L'ultimo anno in cui fosti in pista?
Chissà.




Quella strana ruota libera darà del filo da torcere a Max e Flavio, che hanno però già risolto l'arcano del tuo nome: Aquila.
Assomigli alle sorelline milanesi della Bianchi, ma che importa?
Conta che ci sei, che nulla è cambiato da quando delle mani esperte ti fecero.
Il loro cuore è in te, le loro speranze vivono nelle tue sembianze.
Presto i tuoi mozzi crucchi Durkopp rulleranno sul rosolio e, rimontate le fascette dei freni, potrai catapultarti giù dalle discese ripide come un tempo.
Non so se i tuoi padroncini vorranno arrischiare il pignone fisso che ti ritrovi.
Dalle auto silenziose e da questo Mondo , che ti apparirà strano, ne son certo, potrai difenderti a suon di campanello e stridor di ganasce.
Sorridi fiduciosa nel garagino , una nuova vita t'attende.
Presto la tua fame di grasso, olio, e buona gomma novella, ti sarà soddisfatta.
Correrai.
Correrai ancora Aquila dalle grandi ali.
Nessuno davanti.
Nemmeno una Volpe.

mercoledì 16 novembre 2011

Gli antichi demoni


La notte scende ancora una volta a coprire le terre che reclamano sole.
Insieme a lei riposano desiderii esauditi e altri ancora da esaudire.
Desideri che mi hanno lavorato dentro, mi hanno scavato, roso, corroso, forgiato.
Desideri per i quali viviamo e l'esaudire stesso è causa e ragione dello stesso fondamento della ragion d'esistere.
Ecco che quell'oggetto desiderato dal bimbo che fu, avuto anche in tarda età, vivifica, offre immaginazione, gratifica gli anni trascorsi nella sua attesa.
Come demoni mi tornano alla memori le solite immagini d'infanzia, ancorate come scogli a voglie fortissime che come gatti hanno sonnecchiato tra le sponde dell'animo per risvegliarsi e, con una zampata, riuscire a mettere a segno la propria volontà.
Lo confesso, come l'indimenticato Guido Piovene, questi demoni sono sempre gli stessi, pochi, sicuri.
Le biciclette viste da piccolissimo tra le strade polverose del mercato coperto, gli anziani con la giacca frusta e le gemme impolverate dietro.
I motorini col serbatoio a goccia e i carburatori aperti che parevano risucchiare tutta l'aria intorno.
Negli angoli delle piazze, accanto alle porte in legno dei vecchi Bar, dietro l'immancabile legnaia delle cascine.
Odori di pula, paglia, caldo e secco.
Sono gli anni '50 immaginati, raccontati dai vecchi Braidesi e ricordati come Oro colato.
Quei cantoni incontaminati dove si può ancora sognare, immaginare, sperare.
Le ultime moto degli anni 50, 60, dinosauri in attesa di fossilizzazione, si sono impresse indelebili in me.
La polvere, il senso di decadenza, di un'epoca che passa, tramonta.
Portandomi a fare giuramenti terribili e dai quali non ci si può svincolare.
Costringendomi ad essere da ormai oltre venti anni impregnato e impossessato dal motore, dalle due ruote.
Come quei Benelli sportivi che tanto amo e raccolgo, che a trenta anni suonati sanno emozionare il mio cuore bambino e sognante.
Voluti, fortissimamente voluti.
Sono questi pezzi di me che si recuperano, riappaiono, si giustificano.
Ogni volta che un pezzo si aggiunge alla mia raccolta.
Completandomi, rasserenandomi.
Per caso, per volontà, per destino (scelto da noi, si intenda).
L'alba di domani saprà una luce di gioia, di scoperte, di appagamento.
Forse qualcosa si muoverà e alcuni voleri cesseranno d'essere per lasciar posto ad altro.
Ma non per gli antichi demoni, immoti e non inerti nel profondo dell'animo di ciascuno di noi.