lunedì 25 novembre 2013

Anonima anni 10, il lifting


Quando cominciavo a raccogliere le vecchie bici ero come tutti i neofiti di una materia, facile all’entusiasmo.

Fin troppo.

Fu così che anni fa portai a casa questa –presunta  allora- Olimpia coi cerchi in legno da 26.

La ‘O’ sul portafanale mi suggeriva questo Marchio e anche il venditore, amico ma ancor più del guadagno, suggerì il tanto blasonato nome.
 

Le pedivelle non parlavano e ancor più mute sono ora, con 5 anni in più sul gobbo.

Vecchia era vecchia e ora lo è ancora di più.
Magnifica la sella Standard a tre molle, montata su canotto ad expander.
 

Chiusura sella ad expander e forcella quasi verticale la collocano nei primissimi anni del 1900, questo è indubbio, credo.
I parafanghi, sia pur spaiati, sono verniciati nella stessa tinta di grigio da almeno...anta anni: quello posteriore è sicuramente il suo, a schiena d'asino, quello anteriore sa di mandrogno e ricorda le fattezze dei Maino antegurra.

Il Numero di matricola , basso ma non troppo,stampigliato dietro il tubo sella mi ha fatto pensare anche a Bianchi ma…nessuna Marca da nessuna parte..chissà!
 

Idem il manubrio nichelato ad un solo freno fascettato sulla ruota anteriore.
 

Ma quei cerchi in legno che tanto mi rallegrarono allora, col tempo diventavano spina nel fianco, accorgendomi io che poco o nulla c’entravano col bel telaio.

Che fare?

La risposta me la fornì un telaio analogo, ma piegato di brutto, dal quale asportai le ancor buone ruote da 28 X 3/8 delle quali era fornita, munite di ottimi mozzi Durkopp a chiocciola regolabile.
 
 
 
 

Non si butta nulla!

Da tempo, essendo la bici da anni esposta al pubblico ludibrio su una mensola in casa, mi ero accorto che quel telaio era bello alto e che un 3/8 non sarebbe stato esagerato per esso.

Ora, queste ruote montano alla perfezione e sembrano essere proprio le sue asportate anni fa da chissachi e chissadove .

Ma..un momento: quella posteriore è da 5/8, pur essendo stata smontata dalla stessa bici !

 
La riposta, goliardica come sempre, me la fornì un ottuagenario ciclista locale, dispensatore di perle di saggezza come questa:

“Oh ciula, certo che drè a l’è da 5/8!Le fumne l’eru base na volta,purtavu ncura el cutin, cume favu a munte li insima?je ndava na scala!L’ho vistne tante da garsun per paraj, a l’è giusta stà pura seren!”

TRAD: “Oh pirla, certo che da 5/8 dietro!Le donne erano basse una volta e ancora portavano la gonna, come facevano a salire li sopra? Ci andava una scala!Ne ho viste tante cosi da garzone, è giusta, stai tranquillo!”

Rassicurato dalle parole di chi ha vissuto e visto, l’ho  pertanto così’ rimontata, lasciandola –per ora- senza carter.

In effetti tra i rottami ho anche parecchie bici simili senza carter e non escludo, anche se oggi mi sembra strano, che 100 e fischia anni fa una bici da donna potesse nascere senza carter..meno male che c'è il paraveste in tela, delicato oramai..come un passerotto implume!Si sfibra solo a guardarlo...
 

Cosi rimontata ha tutto un altro fascino e ….anche i cerchi in legno troveranno presto la loro degna sistemazione su autoctona e balloncina sistemazione.

lunedì 18 novembre 2013

A.P.A. anni 20, Antonio Prina


Stupidaggini, forse.

Eppure io sono convinto che le cose nella vita non capitano mai per caso, e che le cose giuste, come le persone, arrivino quando è il momento giusto.

Detto così sembra una banalità da cioccolatino Perugina, ma io ci credo.

In un blocco di ruggine, domenica passata, ritiro anche questa simpatica bici anni ‘20 di origine corsaiola.
 

Bei forcellini, bei mozzi sportivi con galletti enormi.

Bella guarnitura corsaiola marcata A.P.A..
 

APA? Mahh??marchio locale sconosciuto…

I parafanghi sono assai simili a quelli Legnano anni 30 per le  3/8  e mentre mi accingo a smontarli noto con gioia l’attacco diretto alla forcella con occhiello elegantissimo.
 

Dove ho già visto un lavoro così?”
 

Sulla Prina!!”mi rispondo

Ed ecco che un’illuminazione, forse voluta da Monsù Antonio, che vede di buon occhio che qualche sua creatura ancora sopravviva nella mia raccolta.

A-p-a: Antonio Prina Asti!

Ma certo. È il logo che compare anche sui patacchini Prina!

Chissà perché marcata solo APA?

Una primissima serie?

Una sottomarca?

 Ragioni commerciali?

Il tempo ce lo dirà, o qualcuno più ferrato di me sulle Prina!
 

Svelato l’arcano, guardo con occhio diverso quello che fino a poco prima era un’accozzaglia di pezzi da usare per completare i restauri.

Il telaio è robusto, con tubi sovradimensionati che vanno a chiudersi al nodo sella.

Una brutta saldatura sulla fascetta del freno posteriore ancorata al tubo discendente, mi da la conferma dell’artigianalità del lavoro eseguito forse anni dopo, quando questa purosangue fu trasformata in onesto bronzino da tiro.
 

Verrebbe voglia di smontare tutta la rumenteria a bacchetta e mettere su una bella piega corsa e due bowden.
 

Ma chi li ha ora?

E poi, sarebbe giusto?

Me la vedo agghindata da corsa, lucente un giorno di primavera del 192-….., con un bel giovanottone atletico che spinge sui pedali per le colline monferrine.

La bici è pesante, deve essere costata dei sacrifici ben maggiori rispetto a quelli che sta facendo ora su questo sterrato.
 

Magari l’ha comperata dal Prina in persona, elegantissimo come sempre.

Un vecchio meccanico, che acquistò il suo magazzino anni dopo il fallimento, lo ricorda amante del bel vestire e del bel vivere, sino alla fine.

Non mi stupisce quindi la raffinatezza che volle infondere nel ferro, a perenne memoria di un’eleganza e una raffinatezza che era per molti, si, ma non certo per tutti!
 

 

 

 

 

 

lunedì 4 novembre 2013

La rossa del diavolo: Brigton Corsa anni '20!




A casa del diavolo sono andato a ripescarla, col cuore in gola di chi deve affrontare un viaggio infernale tra monti scoscesi e curve imbizzarrite.


Solo il diavolo può averti mantenuta così rossa e così guizzante, pure i copertoni e la pompa li ha voluti del colore delle fiamme.








E se quel bollo dice 1937, quelli che non ti furono affissi mi dicono oblio e dimenticanza, ma anche fuoco nemico e distruzione.


Chi ti ha ritrovato sa poco di te, una casa in disarmo da decenni e addirittura elmetti nazisti nella stessa sala in cui ti conservasti, al secondo piano di quello che un tempo fu casa e famiglia.

Il telaio , nonostante il Marchio esterofilo “Brigton”, è quanto di più italico io possa immaginare, emulando addirittura qui e là le fattezze della Star del tempo, la Bianchi M.

Serie sterzo integrata, forcellino posteriore  giroruota, hanno un che di milanese, non bastasse la bella sella in cuoio marcata Mediolanum ad evocare la Lombardia.


Ma i mozzi del commercio Praezision con oliatori ad elmo e la guarnitura non marcata, sia pur ancora finemente nichelata, mi dicono opera di qualche valente artigiano sulle Montagne.




La pompa è colorata in stile col telaio, e marcata anche essa Briton: un lusso non da poco per una Casa probabilmente artigianale.



Il numero di telaio è nel tubo sottosella, come le contemporanee Bianchi: numero abbastanza alto, segno di una produzione numericamente discreta.



Chissà quante ne esisteranno ancora???

I freni sono marcati anche essi Brigton, fascettati da quasi 90 anni e , un poco induriti, ma ancora ritti come soldati Ussari, sull’attenti da oltre 70 anni in attesa di un comando che non è giunto.




Comando che impongo io ora dalle belle leve da corsa affusolate, stipate in alto in alto su quel manubrio che è degno di un opera barocca, tanto largo e formoso quanto potrebbe esserlo una donna felliniana.

I cerchi sono stretti, da corsa, ancora ben nichelati e filettati.

I copertoni sono quelli in gomma rossa degli anni 30, un Pirelli Stella al posteriore ed un quasi sbriciolato Hutchinson all’anteriore.




Parafanghi  stretti  da corsa, a schiena d’asino, il posteriore dipinto di bianco nel periodo 1936-37 secondo le disposizioni allora vigenti e dotato di gemma catarifrangente.
Pedali a sega , pochissimo consumati, segno di un uso parsimonioso e attento




Sul manubrio è presente l’immancabile campanello, il “ciuchin” che avvisava l’arrivo di questa indomita cavalcatura a tutti gli astanti.

Ma la parte che più mi ha affascinato di questa Brigton è senza dubbio…la borraccia.

Forse di origine militare, essa è appesa eroicamente al portafanale grazie alla sua spessa corda grigioverde di canapa, e il tappo in sughero trattenuto da una modesta quanto robusta cordicella .


Quante salite ha visto in anteprima, quante sudate ha dissetato!




Ella mi parla più di ogni altra cosa di autenticità, fatica e del tempo che fu.

Anche questa sarebbe una bella bicicletta da usare, sudando come un tempo in salita per poi, magari, “cimpare” una golata di rosso dalla borraccia in ferro.


Chissà.

Troppe bici, troppo lavoro e…poco tempo, me la faranno gustare ancora per molto così, rossa indiavolata e “nature”.

Come bellezza selvaggia, rovina dimenticata tra i rovi, che alcuni adorano, altri, non guardano.