Le parole e le forme suggeriscono idee che si andranno a
concretizzare nell’evento che verrà.
Così io sognai una notte questa bicicletta in mezzo agli
ulivi, la sognai libera in un periodo non libero.
La sognai verde come non era e aggressiva come ancora sa
essere.
Quando poche parole , al telefono, vi lasciano increduli e danno la stura al sogno, ecco che si attende
con trepidazione ciò che poi sarà bramosia e adrenalina.
L’appuntamento è alla marina, ma lei si trova ben più su, 18
chilometri di curve tra gli ulivi e le ginestre.
Non sappiamo il nome del primo proprietario, ma io l’ho
chiamato Tugnasin.
Fa parte del sogno.
Tra i muretti di pietra che guidare mette i sudori,
abbandoniamo l’automobile per inerpicarci tra i carrugi e qui infilarci tosto
in un garage alla luce.
“Ma la bici dov’è?”
“Di sopra, qui si
allaga spesso e potevano marcire i cerchioni”
“Ed ecco che dopo una scalinata fatta a due balzi alla
volta, la vedo coperta dalla polvere e dalle ragnatele, appoggiata ad un tavolo
di ulivo .
Il cuore rimbalza, non capita spesso di imbattersi in nobile
ruggine corsaiola direttamente dagli anni 30.
Lo stemma in ottone sul canotto mi dice "Cicli Carlo Delfino, Porto Maurizio" ( Imperia) : mai sentito, il nome è localissimo.
I cerchioni in legno hanno tenuto benissimo, solo i tubolari
risentono gli anni dell’abbandono.
I mozzi parlano alluminio davanti e ferro giroruota al
posteriore, ma non me ne stupisco: più di un’artigianale ho reperito con mozzi
spaiati e se ciò può essere dovuto ad una riparazione non mi stupirei fosse
nata così: allora in una bottega artigiana si badava al sodo e… cosa c’era c’era!
Oppure quel giovanotto era un corridore e ...senza badare al sottile aggiornò e cambiò per non rimanere appiedato!
Chissà!
Oppure quel giovanotto era un corridore e ...senza badare al sottile aggiornò e cambiò per non rimanere appiedato!
Chissà!
Il bel manubrio ha la pipa in ferro e una piega di alluminio
che mette voglie in petto al più consumato collezionista.
Freni Bowden con una molla che mai vidi, ancora efficaci nonostante l'oblio..
La data ce la fornisce il bollo ben ancorato al parafanghino
in alluminio anteriore, 1935, accanto ad una medaglietta in bronzo anche essa rivettata al puntale con il volto di Gesù.
Questi sono i dettagli che mi fanno amare le biciclette datate!
Questi sono i dettagli che mi fanno amare le biciclette datate!
Il pezzo forte è sicuramente il cambio Vittoria prima serie,
ancora al suo posto dopo quasi 80 anni, unitamente al bell’oliatore per catena
che immediatamente lo sovrasta.
Sella marcata APA Prina Asti, mi perseguita piacevolmente
questo marchio : devo dire che il telaio sembra proprio un Prina, ma altri
indizi alessandrini non ne trovo: chissà!
Su una pedivella scorgo il marchio BSA, la destra, l’altra è
di una bici francese col suo pedale un poco più recente.
Tugnasìn la deve avere usata parecchio, almeno 20 anni direi,
prima di metterla a riposo, e quando c’era da sostituire …si sostituiva, come
dargli torto?
Quelle salite sono terribili e dovevano essere un bell’ostacolo
a gambe, polpacci e….mezzi meccanici!
Poi chissà: una moglie, una Vespa, i figli, la stanchezza,
la voglia di comodità.
Ma non l’oblio dei begl’anni , tanto da non decidere di
abbandonare la bicicletta ( triste destino di molte sue coetanee) bensì di
custodirla appesa in un garage tra i carrugi che sanno di olio e di pietra, che
tanto bene l’hanno conservata, nera a fiamme rosse come apparve in quel di
Imperia tanti anni fa a quel giovanotto.
Il sogno svanisce e
stavolta lascia per le mani ferro, legno e gomma.
Al lavoro, dunque!
Il nuovo proprietario non avrà forse i muscoli del Tugnasin,
ma qualche pedalata, su tubolari nuovi, quella si, se la vorrà concedere.