lunedì 26 dicembre 2011

Gli occhi di Andrea.


Fu durante il cenone di Natale che il Dottore si accorse che le cose si erano spinte troppo oltre, che qualcosa scivolava via adagio.
Fu vedendo gli sguardi compassionevoli e i sorrisi divertiti dei nipotini, che s'avvide di non essere al suo posto.
Non poteva sapere dei progetti delle figlie e dei loro generi, anch'essi dottori.
Ricordava di una visita da uno di questi, grande luminare.
Ricordava l'amarezza di quei sorrisi, ancora, del suo "non è nulla , Andrea", per poi appartarsi con una figlia e il genero.
Si stava spegnendo, glielo dicessero , buon Dio!
"Cosa ho?Parlate!"
"Ma nulla, papà, nulla.Stai tranquillo.Prendi le pastiglie."
"Ma cosa sono?"
"Non preoccuparti, ti fanno bene.Dormirai la notte."
"ma io dormo bene, che discorsi.Piuttosto, la mamma.Come sta?"
"è in vacanza.Torna presto.Tu riposa."

Sua moglie.
Gli mancava così tanto.
La sua bella Rosetta.
Ma cosa aveva sempre da fare al mare, in questa stagione poi.
Si sentiva solo, in lotta, in battaglia con tutti.
Superstite di una generazione abituata a parlarsi chiaro, in un Mondo che non era il suo ,da troppo.
Quanti anni che un amico non si faceva vivo, o erano mesi?
A volte le giornate parevano eterne, in un salotto che pareva cimitero, la luce filtrata da finestre di carcere.
Non provò più a uscire dalla porta, da quella volta che parve il peccato più grande voler sentire ancora una volta sotto i piedi terra, nelle narici il biancospino portato e trapiantato dal mare anni prima.
Quegli occhi, quel terrore , lo dissuasero per sempre.
Accettò che il sogno di vivere continuasse sotto un altro fondale, più cupo, di certo, ma sempre curioso.
Questa della curiosità era stata la costante della sua esistenza, riuscendo ad accettare morte, scomparse e un lavoro che non tutti i giorni voleva dire serenità e amore.
Sapeva i suoi anni, sapeva che la vita è un ciclo, chi più di lui lo avrebbe saputo accettare?
Solo, non tutto andava come i sogni vorrebbero.
Essi non contemplano il brutto, di questo se ne accorse quella sera.
Il brutto è qualcosa che ti sfugge, sono parole non capite e sguardi troppo lunghi, compassioni non cercate.
Il brutto è capire di non essere più padroni di sè, sono risvegli sempre troppo identici e quel senso di smarrimento che ti porterebbe a crederti in un altro mondo, non ci fosse qualcuno a ricordartelo ogni ora.
Il brutto è accorgersi che mai più torneranno quelle gioie terribili, la gioventù, il sentire quel tempo così libero e di lui essere padroni , padrone proprio, a volontà.
Quelle parole che tardavano a venire, e che gli facevano solo produrre sorrisi e parole di circostanza , quella era Morte e più di una volta i suoi occhi la sentirono .
Nemmeno le lacrime servirono ad allontanarla, anzi.
Fu durante quella maledetta cena e quel Natale che sentì tra i volti preoccupati dei commensali la parola "ricovero" e "casa di riposo", che prese la sua decisione.
Non sarebbe finito come gli altri, non lui.
Gli restava ancora un bricolo di forza e lucidità .
Prestissimo dveva fare, quel mattino stesso.
Fu mansueto e docile come tutti desideravano .
Sorrise sino alla fine, ringraziando per il panettone che graziosamente gli offrivano e sorseggiò quel vino tanto amato che sapeva essere l'ultimo.
Guardò tutti negli occhi, perchè tutti si ricordassero dei suoi, verdi e forti.
Quelli che videro prati e montagna, che innamorarono donne incantevoli e che donò, per caso e per desiderio, a quella nipote che amava.
Bella, solare, intelligente, buona.
Ecco, a lei, lei sola, diede una carezza che lo fece commuovere.
I suoi occhi erano salvi.
In lei sarebbero vissuti.
Poi si alzò e disse di dover riposare.
Il sottoscala era diventata la sua camera , più comoda e meno faticosa per chi doveva sorvegliarlo notte e giorno.
Da tempo ormai meditava e si andava preparando, così che le parole di quella sera gli diedero il coraggio che mancava.
Non nella notte, ma al mattino presto volle tirare fuori da sotto il letto la corda che aveva nascosto sotto un paio di pantaloni, in un angolo.
Era una corda di canapa, vecchia, forte.
Tastandola , dentro al cassetto, la sentì calda e amica.
Benissimo sarebbe andata.
Cantava un gallo, cominciava un nuovo giorno.
Breve, intenso, desiderato, giorno.
Pensò al dopo, ai visi sconvolti, al suo corpo esposto al pubblico ludibrio.
Ai suoi generi, che avrebbero chiamato Carabinieri e colleghi.
Facessero pure cosa volessero.
Ora, per poco che fosse, era tempo Suo.
Stranamente gli venne in mente la madre, che lo avrebbe disapprovato,lei sofferente e stoica sino all'ultimo sul letto di morte.
Non era della sua pasta.
A pensar bene, non era mai stato la Pasta di nessuno.
Ostinato e contario quel che bastava per essere maledetto dai più.
Anche quella volta lo avrebbero odiato.
Gli spiaceva solo per la nipotina, ma sapeva che sarebbe comunque rimasto poco, e quel poco era già perso.
Pensò un istante se pregare.
Poi, in linea con la sua vita, realizzò che tanto valeva sbrigarsi, di lì a poco sarebbe stato Altrove, e se Altrove c'era, sarebbe bastato parlare e guardare direttamente con l'eventuale interessato.
"Cinico maledetto"
Rise.
Le prime luci filtravano dalle imposte socchiuse e un raggio, tenue, colpì in pieno le sue pupille.
Non amò mai come allora quella vita che sino a quella sedia lo aveva condotto.
Piangeva, serio il volto.
Si sistemò bene la cravatta, rigida sotto la camicia azzurra e il gilet che amava tanto.
"Almeno un po' di eleganza" si disse.
Fu una fatica terribile annodare la corda al lampadario.
Non era bravo coi nodi, un chirurgo come lui.
Ora lo ammetteva, sperando che, almeno quello , sarebBe rimasto buon lavoro.
Tirò con prudenza e sentì robusto.
"Bene" volle dirsi.
Guardò la luce.
Guardò il letto.
Guardò le sue mani.
Poi fu un passo, fu la luce, la Libertà.

martedì 29 novembre 2011

Il ratto.


Nevicava forte da quasi dieci giorni quel Dicembre del '51.
Chi avesse avuto voglia di mettere il naso fuori alle sette del mattino, avrebbe potuto vedere i radi passanti camminare con passo veloce avvolti nelle loro mantelle ,berretto in testa, mandare sbuffi di aria fredda ad ogni passo.
Alcuni, ma erano i meno, avventurarsi tra i rigagnoli di neve sciolta con la bicicletta dalle manopole avvolte in pelle di coniglio per non farsi venire i geloni, in Vespa o Lambretta i padroni di bottega o i Dottori.
Solo il Commendatore Bunamì, detto lo Sgnùr , si permetteva il lusso dell'Alfa quei giorni, pur restandosene al caldo davanti al suo camino di marmo la maggior parte delle ore.
Gli altri, come Gipi e Nadìn, attendevano cauti che le ore si traformassero in luce e la temperatura si alzasse di qualche grado, per andare in cerca di ferro o fare qualche buon affare.
Il campanile dei Battuti Bianchi rintoccava 9 colpi quando i due si ritrovarono davanti al Bar della Stazione, rintronati dal sonno e dal freddo intenso.
Viaggiatori erano scesi dal treno di Alba , erano donne ben vestite che, sentendo avvicinarsi il sabato, entravano nelle mercerie di Bra e al Mercato del venerdì a comprare stoffe e profumi, fermandosi poi alla pasticceria Berzia a prendere un dolce, le caramelle alla genziana o, per chi aveva marito, un misurino di grappa buona.
Sentendo il freddo e il profumo intenso che emanavano, Gipi non potè non pensare a qualcosa di caldo, una donna nuda nel letto, un vin brulè, le giornate passate al sole, nei boschi d'estate.
Volle dirlo a Nadìn.
"A nasconderti tu e le tua manie del cavolo.Qua a ghiacciare come pinguini, lui pensa alle donne.Ma vatti a nascondere sotto la gonna di tua madre, vai."
"Nessuno butta ferro.Niente ferro, niente cucù.Niente cucù, niente vino."
"Certo che oggi porti proprio un buonumore.Facevo prima a non alzarmi."

Intanto che i due discutevano davanti al Chiosco, dal fondo del curvone sentirono uno scoppiettare noto.
Un battito ben cadenzato si avvicinava lento, sicuro.
Era Tàle della Riva , muratore, falegname, venditore di ferro, barbiere, calciatore e forte scommettitore di pallone elastico, sull'inseparabile Frera anteguerra con cassone in legno-sidecar.
Tale strumento veniva di volta in volta aggiornato a seconda della bisogna: rinforzato quando si caricava ferro, colmo di cazzuole e boglioli quando vi era qualche muro da fare, ripulito e con sedile in pelle per i rarissimi appuntamenti galanti.
Tàle sapeva sempre intrufolarsi dappertutto, per guadagno e per piacere.
Fu lui a trovare quella bicicletta con la ruota grande davanti a un folle che la voleva usare la domenica.
Fu lui a far sposare Bertina e Cicotto.
Perchè Tàle è buono.
Sa fare.
Sa vivere.
Vedendoselo venire incontro allegro in quel mattino di geloni, i due sorrisero all'unisono.
"Oh Tàle, cosa conti?"
."Cosa vuoi, c'è la malora in giro.Nessuno butta , nessuno compera.Una miseria."
"Ci andrebbe del vino."
"Ci andrebbe sicuro.Saprei anche dove berlo, e buono.Ma ci va il companatico."
"Sarebbe?"
""Sarebbe che stasera i Bunàrd fanno cena di leva e mi hanno invitato.Ma in paga vogliono un coniglio.Vai a trovarlo un coniglio con sto tempo.Chiedono delle schioppettate"

Fu in quel momento che a Nadìn venne in mente l'idea del ratto.
"Io so dove trovarlo.Se lo porto io ci invitano ?"
A quel punto Gipi fece tanto d'occhi, come a dire, Diocristo ma se non abbiamo neanche i soldi per piangere.
Ma vedendo Nadìn sicuro e sorridente, volle dargli corda.
"Posso provare.Sarebbe meglio già pronto, sai com'è, la cena è alle 8."
"Tutto pronto, stai sicuro.Lo cucinerà mia madre.Lo sai come lo fa bene."
"Va bene.Alle 730 dai Battuti allora."
"A dopo."

I saluti proseguirono lenti , perchè la Frera non voleva andare in moto e furono proprio le spinte dei due amici, sotto gli occhi dei ferrovieri incuriositi e divertiti a farla partire sbuffando.
"Tu sei folle.Dove lo prendiamo un coniglio.Con quel che costa.Andrebbe meglio farsi fare credito."
"Vieni con me, fuletto.Andiamo a trovare Rinina."
"Chi?Quella panciona?Potesse mi salta sulle trippe ogni volta che mi vede."
"Appunto.Tu gliele fai buone e io faccio il resto."
"Ma non ha conigli."
"Lascia fare."
"Cosa non si fa per un bicchiere.Andiamo solo , almeno mi scaldo."

La casa di Rinina era appena fuori dal paese, sulla strada che porta alla Riva.
Era una cascina che conobbe tempi migliori e da lontano i due la videro, la terra che scricchiolava sotto i piedi.
"Adesso tu la saluti e vai dentro.Stai almeno una mezz'ora, io faccio cosa devo e ci vediamo da me a mezzodì."
"Facciamo cambio?Oh Madonna quella trippona addosso.E se si fa delle idee?"
"E lasciale fare.Le donne si fanno sempre delle idee."

Entrato in casa sotto gli occhi accessi della Rinina, Gipi passò la mattina più calda degli ultimi tempi.
Se fosse stato solo il freddo il suo problema, ebbene, la Rinina lo aveva riscaldato fino all'Agosto a venire.
Pur nel bordello del momento, Gipi pensava a cosa potesse avere in mente Nadìn.
Ma,sapendone la machiavellica complicata, volle fidarsi.
"Che bellezza, non me l'aspettavo.Sempre sola con quella gatta .Dovresti venire a trovarmi più spesso,eh Gipi??"
"Farò il possibile.Ma ora lasciami andare.Ho da fare."
"Con quella lingera di Nadìn, vero?"
"Ciao bella quaglia."

Contadini lo videro uscire tenendosi le anche per un bel chilometro.
Avrebbero pensato cosa è giusto, sapendo tutti della fama della Rinina , sempre affamata come la sua gatta.
Entrato nel portone, apparve Nadìn mezzo insanguinato, il viso coperto di graffi.
"Un'altra volta facciamo cambio sì, brutto sporcaccione."
"Che hai fatto?"
"Quella bagascia di una gatta. Non si faceva prendere manco con le buone.Ma l'ho vinta io, l'ho vinta."
"Le hai rapito la gatta?Ma sei folle?Dov'è ora?"
"In cantina.Non son ancora riuscito a ammazzarla."
"Ma tu sei folle nel cervello.Portiamo un gatto?"
"E allora?Mica lo mangiamo noi."
"Ma le era affezionata,pensaci un momento.E lo ammazzi tu?"
"Tu no di sicuro, sempre con le donne come sei."
"Andiamo giù, andiamo.Tienimela almeno ferma.Poi dobbiamo lasciarla almeno tre ore sotto la neve, o saprà di piscio."

Scendendo le scale, a Gipi parve di commettere omicidio e chissà perchè ora quel vino proprio non riusciva più a desiderarlo.
"Occhio che apro la porta."
Aperta la porta e accesa la lampadina che pendeva dal filo, i due se la videro in un angolo con qualcosa di grosso in bocca.Si dimenava ancora, ma era chiaro che stava per lasciarci le cuoia.
"Oh Madonna che ratto.Brava gatta.Peccato ammazzarla."
"Guarda che bestia.Sarà sei etti tutti.Come un coniglietto, no?"

Nadìn, assetato ma buono come Gipi, capì subito come sarebbero andate le cose , e capì che per un bicchiere di vino si fa questo ed altro.
"Lascia qua, brutta bestia.La tua fame ti ha salvata."
"Porta la gatta vicino alla cascina, va.E non farti vedere.Figure da cioccolatai che facciamo."

La notte era chiara, limpida.
Il freddo secco dava all'aria la consistenza di una coltellata e le mani sul bronzino annerito di Nadìn stavano ormai congelando.
Arrivando per la stradina sentivano già voci e suoni, luci appese in alto.
"Arriva la carne.Sentirete che carne, parola mia.Un coniglietto nato da poco, mi è rincresciuto ammazzarlo, ma Tàle si è tanto raccomandato."
La padrona di casa sorrideva alle parole di Nadìn, mentre Tàle da dietro annuiva coi denti neri e la cicca tra le labbra.
A tavola , bottiglie a mano, tutti assaggiavano le pietanze e il coniglio , a detta di tutti, era proprio ciò che Dio fece, e come mai che propio loro non ne mangiavano.
"Capirete, ci sembra una cosa.Ce n'è già poco, non vorremmo togliervelo di bocca.Mangiate, mangiate, tutta salute."
Un poco brilli, nell'ombra del porticato, Nadìn e Gipi si guardarono senza parlare, appena un sorriso all'angolo delle labbra.
Tenevano i bicchieri in mano con quella grazia di chi sa quanto viene a costare il bere.
"Poveri diavoli, Fan quasi pena."
"A loro piace.Contenti loro."
"Contenti noi."
"Appunto."

Il freddo della notte veniva col vento che spirava da dietro la collina e i due, sentendosi il buono dell'uomo fatto e una gioia antica ballargli dentro, rientrarono .
I bicchieri erano quasi vuoti.

sabato 26 novembre 2011

Correrai.


Non ho mai parlato di bici d'altri, qui.
Ma l'amicizia, l'emozione del ritrovamento, contagiano lesti il mio cuore e qualcosa si muove dentro me.
Non resto insensibile di fronte a simili ritrovamenti.
Immagini, sogni, si condensano e devono parlare.
Come lei.
Che ancora non conosco, ma come una diva che vi fa sognare dalle pagine delle riviste , e il cuore batte forte, così io me la immagino tra le dita, densa, concreta.
La sento la sua ruggine, la polvere che l'ha ammantata per anni,il buio di cui ha fatto indigestione.
Ha visto passare stagioni, mesi, anni, oggetti son giunti e spariti.
Quella notte che fu vostra , ne son certo, credette il peggio.
Credette che quel ferro che la fece quello che è, sarebbe tornato all'informe materia, e più nessun amore, ma solo fretta e indifferenza.
Li hai visti negli occhi, quei volponi dal cuore buono, hai capito dai loro sguardi e da quelle carezze affettuose sui mozzi e sulle decalche, che qualcosa sarebbe cambiato.
Tornato.
Correvi forte, forse per amore, forse per vincere.
1926 dice il bollo ancorato al canotto alla moda dei corridori.
L'ultimo anno in cui fosti in pista?
Chissà.




Quella strana ruota libera darà del filo da torcere a Max e Flavio, che hanno però già risolto l'arcano del tuo nome: Aquila.
Assomigli alle sorelline milanesi della Bianchi, ma che importa?
Conta che ci sei, che nulla è cambiato da quando delle mani esperte ti fecero.
Il loro cuore è in te, le loro speranze vivono nelle tue sembianze.
Presto i tuoi mozzi crucchi Durkopp rulleranno sul rosolio e, rimontate le fascette dei freni, potrai catapultarti giù dalle discese ripide come un tempo.
Non so se i tuoi padroncini vorranno arrischiare il pignone fisso che ti ritrovi.
Dalle auto silenziose e da questo Mondo , che ti apparirà strano, ne son certo, potrai difenderti a suon di campanello e stridor di ganasce.
Sorridi fiduciosa nel garagino , una nuova vita t'attende.
Presto la tua fame di grasso, olio, e buona gomma novella, ti sarà soddisfatta.
Correrai.
Correrai ancora Aquila dalle grandi ali.
Nessuno davanti.
Nemmeno una Volpe.

mercoledì 16 novembre 2011

Gli antichi demoni


La notte scende ancora una volta a coprire le terre che reclamano sole.
Insieme a lei riposano desiderii esauditi e altri ancora da esaudire.
Desideri che mi hanno lavorato dentro, mi hanno scavato, roso, corroso, forgiato.
Desideri per i quali viviamo e l'esaudire stesso è causa e ragione dello stesso fondamento della ragion d'esistere.
Ecco che quell'oggetto desiderato dal bimbo che fu, avuto anche in tarda età, vivifica, offre immaginazione, gratifica gli anni trascorsi nella sua attesa.
Come demoni mi tornano alla memori le solite immagini d'infanzia, ancorate come scogli a voglie fortissime che come gatti hanno sonnecchiato tra le sponde dell'animo per risvegliarsi e, con una zampata, riuscire a mettere a segno la propria volontà.
Lo confesso, come l'indimenticato Guido Piovene, questi demoni sono sempre gli stessi, pochi, sicuri.
Le biciclette viste da piccolissimo tra le strade polverose del mercato coperto, gli anziani con la giacca frusta e le gemme impolverate dietro.
I motorini col serbatoio a goccia e i carburatori aperti che parevano risucchiare tutta l'aria intorno.
Negli angoli delle piazze, accanto alle porte in legno dei vecchi Bar, dietro l'immancabile legnaia delle cascine.
Odori di pula, paglia, caldo e secco.
Sono gli anni '50 immaginati, raccontati dai vecchi Braidesi e ricordati come Oro colato.
Quei cantoni incontaminati dove si può ancora sognare, immaginare, sperare.
Le ultime moto degli anni 50, 60, dinosauri in attesa di fossilizzazione, si sono impresse indelebili in me.
La polvere, il senso di decadenza, di un'epoca che passa, tramonta.
Portandomi a fare giuramenti terribili e dai quali non ci si può svincolare.
Costringendomi ad essere da ormai oltre venti anni impregnato e impossessato dal motore, dalle due ruote.
Come quei Benelli sportivi che tanto amo e raccolgo, che a trenta anni suonati sanno emozionare il mio cuore bambino e sognante.
Voluti, fortissimamente voluti.
Sono questi pezzi di me che si recuperano, riappaiono, si giustificano.
Ogni volta che un pezzo si aggiunge alla mia raccolta.
Completandomi, rasserenandomi.
Per caso, per volontà, per destino (scelto da noi, si intenda).
L'alba di domani saprà una luce di gioia, di scoperte, di appagamento.
Forse qualcosa si muoverà e alcuni voleri cesseranno d'essere per lasciar posto ad altro.
Ma non per gli antichi demoni, immoti e non inerti nel profondo dell'animo di ciascuno di noi.

lunedì 24 ottobre 2011

Rola, per caso.


Metti una domenica mattina di freddo e quattro banchi per il paese.
Metti due chiacchere con un buon amico di bici.
Mettici le bici, sempre, appoggiate a una balaustra dei portici.
Mettici pennellate sparse, brutte, cattive.
Mettici le manopole di osso e il carterone, i bei pedali a sei gommini.
Mettici pochi euro, e mettitela tra le mani.
Mettila in cortile, lesto.
Mettici attenzione: i forcellini dietro sanno di corsa, la R del portafanale non è un caso.
Mettici i mozzi con oliatore a fascetta.
Metti che sia una Rola, per caso.
Mettere quelle manopole e quei pedali a ricambio?
Metti di no, è una Rola!
Rola, cercata spesso, sottomarca di Frejus-Torino, particolare proprio per quelle prelibatezze, era bicicletta ben considerata dai ciclisti e diffusa nelle mie zone.
E ora, ragazzo, mettiti sotto.
Nessuna scusa, è una Rola!

lunedì 17 ottobre 2011

Parola mia, che bici!



Parola, dissi all'anziano in quella cantina buia che sapeva di vino e di paglia, mai vista una bici del genere.
Tra bottiglie vuote e cartoni l'umido aveva corroso le gomme e buona parte del legno del cerchio posteriore.
Ma non quelle decalche che resistono ai freddi e agl'anni che corrono.
Manubrio marcato Confa 1938 e tracce di vernici con colori che non usano più da lustri.
Era d'un imbianchino?
Parola mia, non posso giurarlo, ma sarebbe delitto cancellare quelle lacrime colorate e allora vai di lucido, paglietta e cera, ma lontano da loro che orgoliose raccontano una Parola dimenticata.
Il bianco del parafango dietro tiene bene, così la gemma in vetro, ussara ancora per i tempi che verranno.




Paura per chi ci segue?
Una Parola farsi vedere,aggiungiamoci un lucchetto con luce, sì da scoraggiare malintenzionati e tamponatori.
Al campanello provvedette il buon Parola, regalandoci il suo, firmato, e appendendocelo stretto stretto alla sinistra del manubrio, così stertto che ancora lì proprio diffonde il suo cicalare.
A vedere davanti un Dansi vorrà illuminarci il cammino, pur non troppo ostile per non impensierire i lignei cerchioni.





Chissà quante ne sono sopravvissute, chissà se una sorellina a telaio aperto uscirà fuori da qualche parte.
Che sia l'unica, non posso dirlo: sarebbe la mia Parola contro la vostra.

venerdì 14 ottobre 2011

La pioggia è gioia, 14


Eroe conosceva Giovanni perchè tutti parlavano del nipote del pasticcere con ammirazione e curiosità.
Aveva appena pubblicato un romanzo.,ma pur essendo famoso e conosciuto non disdegnava la compagnia di quei giovani che come lui vivevano quel tempo.
Camminavano ora ,bottiglie in mano, sulle creste delle rocche di Pocapaglia.
La notte donava un'aura spettrale ai pendii, le prime foglie secche scricchiolavano sotto il loro calpestare.
"Queste son notti da star svegli, da amare."sospirava Giovanni nei buii e tra le frasche fruscianti.
Eroe pensava a quel pomeriggio, alle lacrime che ancora gli rigavano il viso, alle urla e alla gente uscita di casa, subito.
A Bernardo, a quella energia viva e la rabbia, tanta, che tanto graffiava con il solo sguardo.
Nel bosco non c’erano che loro.Tutta la notte pareva concentrarsi su quegli
alberi che ora il vento faceva fremere come un brivido.
Solo qualche latrato di cani attaccati alla catena in una cascina in fondo,
li ridestava dai loro passi e dal crepitare che i loro piedi producevano sulle
foglie morte.
Sei abituato a queste passeggiate, vero?”chiedeva Eroe.
“Abbastanza.Il bosco è un po’la mia casa.Vengo qui quando voglio stare in
buona compagnia.Su bevi, hai freddo.”

Arrivarono a un bivio sullo stradone.A Eroe parve di tornare a sei anni prima, quando si vagabondava per la campagna disertando accuratamente le strade battute da nazisti e fascisti , stupendosi ogni volta, dopo ore di cammino, che potessero ancora esistere delle cose chiamate strade.
Prendiamo giù di qui.Ci fermiamo alla grotta dell’eremita.Sei mai stato?”
“Una volta.Mia madre gli portava mangiare e qualche soldo perché pregasse per
me ammalato.Povera donna.”

Povera donna”, ripetè Gianni.
Per arrivare alla grotta si passava su stradette a strapiombo sulle rocche ,
che la notte rendeva ancora più spettrali e tetre.Sotto quella terra di sabbia
riposavano decine di morti fucilati in guerra e fu dietro ad un albero, quando
un gatto scappò via lesto, che Eroe cacciò un urlo da far tremare.
Ohè, ciclista!Mi vuoi svegliare l’eremita?”
Sapeva della morte dell’uomo , anche lui era sepolto da quelle parti, ucciso
per una vendetta partigiana.
Era un reduce combattente della guerra del '36 , e tornato a casa , per non
vedere le corna della moglie , si decise eremita e vestito di sacco e fez si
scavò una grotta nella sabbia di Pocapaglia.Qui prese moglie e fece figli ,
vivendo delle offerte della popolazione superstiziosa e bigotta.
In tempo di guerra, essendo per lui tempo di fame come per altri, si
aggiustava cacciando di sfroso e dano informazioni a fascisti e partigiani.
Uno di loro se lo trovò davanti un mattino d’autunno piovoso e non ebbe tempo
a salutarlo che una raffica di mitraglia lo ridusse colabrodo,non senza
camminare e restare in piedi fin quasi a cadergli addosso.
Si dice che poi quell’uomo sia diventato matto e ancora oggi se lo trovi
davanti di notte, nei sogni e nel delirio.
Queste e molte altre cose pensava Eroe prima di urlare, ma ecco che dietro un
albero mezzo diroccato e delle sterpaglie apparve l’ingresso del cunicolo.
C’è ancora la madonnina .Guarda, qualcuno viene a mettere fiori.Chissà
chi.”
“Qualcuno che ha le mie madonne.Ne ho talmente tante che se mi mettessero un
fiore davanti ad ognuna aprirei una fioreria.”
“Questa è bella.Devo scriverla, da qualche parte.”
“Ma si, scrittore, scrivi.Scrivi di quest’uomo che in una notte di fine estate
del 50 non sa più come giri il mondo e sa di un figlio quando ormai è meccanico
fatto.Che mondo, che cognizione.”
"Tu devi andartene.Scappare via.Sparire.Non hai una fidanzata?"
"Si.Bella roba.Perdere il posto.La faccia."

"Ma che faccia?Chi saprà ancora di te magari nel 2000?Nessuno.Anzi, prenditi quel ragazzo, parla al Padrone.Capirà,é un uomo di mondo.Sicuro.Gli parli e vi fate un viaggio.Soldi da parte ne hai?"
"Qualcosa.Ma non subito.Strano. Soffro ma sento di vedere delle cose come mai viste.Mai successo?"
"Si, capita.Sei eccitato.Stupito.Non è detto che sia una cosa brutta.Non per me, almeno.Piera lo sa?"
"No.Sa che sto male.Povera donna anche lei.Povere tutte le donne della mia vita."
"Ora basta.Che diavolo.Bevi una volta e fai l'uomo.O ti han chiamato Eroe perchè hai salvato un gatto su una pianta?"
"Ridi te, sei giovane.Hai tutta la vita per fare danni.Ma io?Trentanni.E un cumulo di macerie alle spalle."
"Poi c'è sua madre.Cosa conti di fare?Dovrai pur parlarle."
"Questo è un altro discorso.Saprò io cosa dire.Ora bisogna aggiustare le cose con lui, con Piera, i miei.O Madonna, non mi sembra manco di essere in me.Che robe."
"Su, torniamo, tra un po' si fa mattina.Domani lavori?"
"Così pare.Tu?sempre a fare vagabondate?"
"Studio.Domani torino, film, lezioni, qualche poker.Così va la vita.E così va bene."

Lanciando la bottiglia vuota giù dallo strapiombo, risero ancora una volta.
Risero sulla vita, sulle disgrazie, sui morti e sui vivi, in un blasfemo coro che solo loro potevano capire.
Erano sbronzi, ma solo poco.
La notte lasciava le ultime stelle a un'altro mondo ignaro di quelle faccende, mentre i due scendevano a mezza costa sul versante del Fey.Primi operai scendevano dalle colline infagottati per proteggersi dalle frescure del mattino, fermandosi all'osteria sotto i platani a berne un mestolo, o il grappino i più forti di stomaco.
Sentendo vuoto e sete proprio, i due videro la porta amica e ultima complice di quella nottata , e col sorriso la spinsero.
Fumo, luce e chiasso li salutarono festosi come un cane quando torna il padrone, e in poche occhiate riuscirono a ritrovarsi tutti i discorsi fatti e quella strana amicizia che nemmeno cose del genere avrebbero mai scalfito.
"Piove domani?"chiedeva un carrettiere di passaggio.
"Non qui a Bra.Non ancora."

martedì 4 ottobre 2011

L'arte di arrangiarsi.


Ci sono oggetti che devono viverci dentro, per avere un’identità.
A ben pensarci, ogni oggetto, per essere tale, deve essere definito in un
contesto e da una volontà.
Senza perderci nella filosofia, oggi contemplo queste reliquie italo tedesche
che ci giungono da un’epoca in cui salvare era obbligo, non virtù.
Guardo il canotto di questa bicicletta: è lo stesso che mi affascinò un
pomeriggio d’ozio speso a vagabondare in cerca di vecchie trappole.


Buttata lì, tra altre consorelle senza più alcuna apparente dignità, faceva
male a vedersi.
La polvere e la ruggine l’avevano ricoperta e lei non era più un mezzo di
trasporto: era mozzi con oliatore e una bella dinamo a cipolla anni 20.
Buffo come spesse volte non ci si renda conto di perdere il senso globale di
un uomo, di una cosa, e la si veda sotto certe lenti così spesse da farci
apparire come un Unico solo certi dettagli che la compongono.
Per me era un’Epoca, un modo di intendere la vita, una concezione persa.
Un bel telaio tedesco Durkopp con movimento serrato da un dado sulla sinistra,
tubi stretti a congiunzioni invisibili, manubrio roller ben nichelato.
Belle cose, ma certo.
Ma il canotto tranciato o storto in epoche passate era stato con maestria
sostituito da un altro ben saldato a ottone e brasato e limato di fino per
farci stare nuove chiocciole.
Il tutto guarnito da spessorame vario per dare un tocco di funzionalità alla
faccenda.
Dio come ho amato subito questa bici!
L’ho preferita ad altre di ben più nobile lignaggio dedicandole le migliori
ore della serata o gli ultimi calori pomeridiani di un settembre morente.
E mi ha ripagato, ogni volta.
Come ora, che dopo il primo giro mi par di sentire le anime di quegli
artigiani passati fondersi col rotolare delle gomme gonfie, ancora una volta,
lo stridore lieve del pattino sul cerchione.
Quell’aroma di cera d’api è vita sui ferri e sull’ottone che riluce come
millenni fa, quando eravamo uomini Faber e non Consumer.
Uomini intelligenti che se la sapevano cavare non solo con agevoli e un poco
vigliacche sostituzioni, ma con l’Arte di arrangiarsi e recuperare , di
risparmiare per necessità più che per mera soddisfazione.
In quest’epoca di consumismo sfrenato (ma ancora per poco , dico io), questa
bici vuole essere esempio di passione che va elegante a fondersi con la
necessità di un tempo lontano sempre più vicino.
Di momenti d’un Autentica arte che nulla spartisce con le rovinose possibilità
odierne.
Per fortuna o purtroppo.

martedì 20 settembre 2011

Un bel sedere


Un bel sedere è stato ritrovarti.
Per caso.
Come si incontrano le persone più interessanti.
Uno sgombero improvviso, una telefonata, un regalo al buio.
Potevi essere qualsiasi cosa, anche una cosa su due ruote che chissàcosè.
Invece sei Dei, ancora una, ancora una volta.
Imperiale, anno 56, ben sull'attenti a parte le gomme mosce e la polvere degli anni che non hai visto.
Ti basta poco per farti bella, una lucidata e un'ingrassata.
La cromatura lucida ti ringalluzzisce e ti fa giovane, ancora.
Poi la cera, vanitosa.
Ancora oggi esibisci il tuo bel sedere con quel diapason e quella scritta che incanta.
Un bel sedere è stare accoccolati su di te e farsi portare in giro dalla tua snella andatura.
I mozzi sono proprio i tuoi e io li sento, e gioisco nell'averti sotto di me.
Per fortuna.
Per amore.

giovedì 8 settembre 2011

Ghiacciata


Silenziosa scorri sulle stradette notturne che non conosci.
Già qualcosa dell'autunno è nell'aria e tu me lo dici con la tua verniciatura opzionale bianco ghiaccio.
Nessuna storia romantica alle spalle, stavolta.
Uno scambio con chi ti teneva alla pioggia e preferiva qualche tua nipotina , senz'altro più vendibile ma meno affascinante.
Sei felice senza la morchia degli anni, sì che ne son passati più di 70 da quando qualcuno ti comprò preferendoti al nero tanto in voga allora.
Ti volle bene quel padroncino, anche i cerchi con costa verniciata e bordata in rosso preservò, marchiati 39 come ghiere, manubrio e serie sterzo.
Le gomme ballon Pirelli tengono ancora ed è piacere portarti sugli sterrati e molleggiare soffici.
Spingere, come allora, sui pedali a 6 gommini bianchi con catarifrangenti opzionali, unica modifica del dopoguerra.
Il carter è ancora quello che naque con te e senza pieghe consente silenzio alla catena che scorre all'interno.




Un piacere, come allora, da condividere con gli amici.
Qui lo dico e qui ...lo affermo: la prossima bacchettata ,a Bra, sarà in onore di sciùr Emilio.
Preparate sin da ora le vostre Legnanine, Wolsit, Perlà , Aura e chi più ne ha ne metta!
Lei vi aspetta, glaciale.

mercoledì 31 agosto 2011

Terra buona.




Sei di terra straniera.
Non muta il tuo sguardo
tra le cupe foschie serali.

Sei la rugiada e il primo sole,
un sentiero inaspettato
da cui salire volentieri.


Ti basta un passo
un'occhiata sicura:
non tradisci chi fu per te.

Qualcuno amò molto,
prima e ancor prima,
vivendo in te.

Un sole squarcerà invitante
le nebbie ostili delle tue terre:
basterà sorridere.

E passando e ripassando,
di contadine origini,
dirò Terra Buona.

venerdì 12 agosto 2011

Bianchi...Giuseppe!!


Di ritorno dalle ferie marine, passo a trovare qualche amico rottamaio di strada.
Nel solito blocco di bici che rilevo, caricandolo..sopra i bagagli ( !!), ecco una bici che io definisco..curiosa.
Il nome Bianchi è dappertutto, i pistoncini ai freni..ci sono, ma qualcosa non quadra.
Sopra al patacchino del manubrio troneggia un bel G.Bianchi e il giglio fiorentino.
La balloncina grigio militare mi parla di Giuseppe Bianchi e l'è na toscanaccia purosangue, altro che il milanese Edoardo!
Ben rifinita, manubrio con leve marcate in fusione G.Bianchi, solo il parafango anteriore a schiena d'asino di qualche decennio precedente.
Molto bello è poi il disegno (un giglio??) sulla testa della forcella anteriore.
Vale la spesa ricordare che Giuseppe Bianchi fonderà poi nel dopoguerra la famosa marca Beta di motoleggere, dapprima motorizzate Jlo , poi con motori della casa.
Sino alla fine degli anni 50 produrrà belle motoleggere 125 e 175 (una anche monoalbero da corsa), per poi dedicarsi ai motorini negli anni 60 70.
Celebre il Camoscio sport e il Cross 50.
Da ricordare poi le mitiche 250 e 500 da cross che hanno mietuto tanti successi negli anni 70, di cui parlerò poi perchè in possesso di un bel 2 e mezzo.
Niente male per aver cominciato da modeste ma..robuste biciclette!!!

sabato 30 luglio 2011

è storta, ma va dritta.


Storta stamattina.
Troppi pensieri che non dovrebbero essere in uno dei giorni più desiderati dell'anno.
Ma c'è un ferro grigio che aspetta nell'angolo, sotto il tiglio.
Ha nastrini azzurri nuovi la Baiardina e una gran voglia di correre e lasciare indietro.
Soma d'aj e barbera e una voglia di correre che non c'era da mesi.
La salita si fa contro ma siamo in due e lei va dritta e sicura , storta la giornata.
Troppo dura anche per due decisi come noi, stamattina.
Si scende e tra le esalazioni della cera e dell'aglio si cambia il rapporto, girando la ruota.
Emozione.
Chissà se un Bottecchia o un Gerbi (lui si, ne son sicuro, lo voglio essere) han pasteggiato con aglio e barbera e poi via di corsa, sino alla salita più dura.
Fermandosi a mezza costa a cambiare rapporto e pensare che la campagna è calda in estate e che l'ombra è proprio cosa Dio fece.
Che arriverà la discesa e la voglia di pedalare ancora.
I freni?
Se ci saranno bene , ma se oscillano come sempre, la curva si farà.
Perchè, come disse Omobono Tenni, l'importante nelle curve è entrarci forte.
A uscirci ce la si cava sempre.
Vento è nei capelli e pensieri che corrono , lesti insime ai Pirelli Stop che dopo almeno 60 anni rotolano sugli asfalti riscaldati dai primi tepori.
Torna la piana , torna la pedalata, tornano le case.
Indietro la salita, indietro le nuvole scure.
Una pioggia arriverà benefica nel pomeriggio, portando ristoro ai colli e alle campagne assetate, a menti stanche.

sabato 16 luglio 2011

Sa di Brina




Sa di Brina
il tepore del vento
caldo e soffice
che ti soffia lontano

Sanno di brina
le roventi parole
che il marenco aere
mi porta da te

Odora di brina
quello sguardo
che ancora non vedo
ma già sento mio

Sapranno di brina
i non cercati
notturni desii
di ricordi mai morti

Verrà la brina
a coprire un'estate
male nata
poco e molto amata.

lunedì 11 luglio 2011

Luce cercata


Cercata luce
Desiderata e amata,
moltissimo.


Ultimi bagliori
d'estiva giornata
salutan sornioni
i buii del pianoro.

Non cedono il passo
a oscurità fresche
d'una collina calda
senz'aliti.


Sarà ricordo domani,
memoria dolcissima
in una fredda sera
colma di nevi.

S'assopisca ora,
si doni ad altri.
Noi in attesa,
il suo risveglio.

giovedì 23 giugno 2011

La scorrevolissima 2011:acque,calici e salamelle!



Non a mente fredda, ma decantando le sensazioni scrivo qualche ricordo della recente bacchettata organizzata in quel di Crema dall'amico Livio Libks.
Perchè proprio per amicizia e meno per bici queste bacchettate stanno organizzandosi in tutta Italia.
Proprio amicizia ho sentito, soprattutto da parte di chi del forum avevo solo sentito parlare oppure conosciuto tramite messaggi.
Ma non solo.
Anche tante, belle, bici.
Stupende quelle di tutti, da urlo le Taurus(di passaggio) del collezionista cremasco Carancini.
Percorso mozzafiato lungo i canali della cremasca,non sempre cosi scorrevole(qualche buca di troppo,ma poca roba nhè...)con qualche piccolo incidente di percorso (vedi la chiavella di Joal e il carter dell Dei di Silene).
Parte da leone il barbecue a gpl (!!) dell'ottimo Mario e truppa, con salamelle e costine a volontà che solo l'guardarle era un piacere (e guai a non condirle con dei calici, ostia!)
Mondiale l'amico di Mario (luigi???) che al quindicesimo calice , mangiando banane, sosteneva di essere la reincarnazione di un gorilla.
Premio simpatia al piccolo daniele che con la sua fiammante Frejus ha sfrecciato in lungo e in largo e ancora lo avrebbe fatto, se non per...ragioni di orario!
Grazie quindi a tutti e un consiglio: chi quest anno non è potuto esserci si prenoti di certo all'edizione 2012.
Calici e salamelle incluse.

giovedì 9 giugno 2011

La Rondinella:Chino Rivetti, Bra 1942


Sul forum decrivevo l'emozione di pedalare una Chino Rivetti.
Tra gli anziani braidesi ancora molti ricordano la mitica Rondinella ,ed ecco che
ripropongo un post di qualche settimana fa, ora che tutti possono ammirarla dopo un attentissimo restauro conservativo.

Un'emozione fortissima è in me stasera e voglio condividerla con voi che ,credo, potrete capirla bene.
C'entra una bici, e come non potrebbe?, ma in questo caso essa diventa solo un veicolo di sensazioni fortissime.
Non vi parlerò di essa in termini di Marca e blasone e quanto altro, ma di un semplice oggetto fabbricato anni fa nella mia città e che oggi capita tra le mie mani.
Parecchi anziani nella casa di riposo dove lavoro me ne avevano parlato come di un oggetto mitico e ambitissimo e, per caso (o no? ), è giunta a me proprio oggi.
Dovreste esserci stasera qui ai piedi della collina.
L'aria muove qualcosa di caldo e liscio e già qualcosa dell'estate brilla tra gli alberi in alto, latrati di cane in lontananza.
Lei è leggera, come la fece il ciclista corridore braidese di cui si innamorò mezzo paese , negli anni 30.
Chiudo gli occhi.
Nelle narici il profumo dei tigli e delle acacie in fiore , una solida e farraginosa terra sotto i piedi, mi aiuta a sognare quegli anni così lontani.
Gli ultimi raggi di luce muoiono dietro le montagne e dietro quell'orgoglio di Monviso io non sono più l'indaffarato professionista di questo stressante e caotico 2011 .
Anzi esso è lontano e mi appare solo come una data di un futuro lontanissimo.
Le osterie coi tavoli in legno e il ronzio delle dinamo si avvicinano e diventano cosa comune.
Nessun asfalto, nessuna plastica.
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
Pochi minuti, forse meno, ma questa emozione fortissima, di potere ,nonostante tutto, strappare del Tempo e muoverlo a proprio piacere grazie a una reliquia di ferro e gomma , è qualcosa di molto mio che, spero, possa giungere a tutti voi.



Parti cadmiate, mozzi in alluminio Piuma, galletti in alluminio Binda, cerchi in alluminio, carter in alluminio.Manubrio Ambrosio e impianto luci CEV del tempo di guerra, con tanto di fanalino posteriore in bachelite rossa.
Corre veloce, in salita, verso il san Matteo.
Non tutti sapete i posti di Bra, ma quella siepe là dietro è stata molto in certe sere d'estate dove sentire l'odore della collina rotolare giù sapeva di antico e autentico.
Come il suo oro.

martedì 7 giugno 2011

Martinique (etè 2011)


Sei la poesia che non scriverò mai,

le strofe che mai

mai!

mai mi stancherò di leggere.

In ogni tuo verso io vivrò,

viaggiando per sentieri a noi

Sconosciuti.

Non paura,

ma amore,

amore!

solo amore

la Prima parola








l'Ultima.

mercoledì 11 maggio 2011

la bacchettata 2012


2012, non ho sbagliato...

Nella mente aleggia fresco il ricordo della fiumana di bacchettari immersi nella polvere che avvolge come un tempo le nostre cavalcature.
Non mi stancherò mai di ringraziare chi , come me, crede e trascorre tempo a recuperare e studiare le vecchie bici.
E a partecipare a questi incontri dove davvero il frutto del lavoro viene condiviso, vissuto, ammirato.
Strade bianche, qualche cascina diroccata, forse il sole.
Da sempre lo spirito allegro e scanzonato che per qualche ora ci riporta ai tempi andati delle bici che con tanto amore restauriamo.
Già mi proietto al prossimo anno, dove vedo un giro diverso, polveroso, affascinante.
La Legnano magari si riposerà un poco e il suo grasso si mescolerà al recente velame di pulviscolo.
Altre occasioni ci riuniranno, altre biciclette ritroveremo e rimetteremo in pista.
Io, aspettando, penserò tantissimo ai momenti che nessuna fotocamera può imprimere, ma che tanto bene vedo nel cuore.
E chudendo gli occhi rivedrò le nostre bici e Voi, che tanto gentilmente avete creduto e partecipato a questa quinta edizione.

Grazie ancora.
Corro a preparare la prossima edizione...

sabato 23 aprile 2011

la pioggia è gioia (13)


Nei turbini d'aria calda di quel mattino che diventavano incendio fuori dei portici, Eroe non potè smettere di pensare a quell'estate del '35.
Il colore del vino davanti a lui era ora quel serbatoio cromo oro e aquila dorata della Guzzi di Luisolo il Signore.
Pur senza parlare sapeva benissimo dove Bernardo sarebbe arrivato.
Nei silenzi di occhiate imbarazzate e ostinate sentiva il temporale che stava per scendere su di loro e ricordi bisognava tenere a mente e mai come ora le cose belle vengono al taglio e benvenute.
Quella Guzzi, nuova di fiamma, forse il magneto o l'"ausivalvula" , come diceva Luisolo, erano da revisionare.
Per una settimana la provò e riprovò in lungo e in largo, Luisolo ben felice di poter donare a quel giovane un momento di paradiso.
Invidia sprizzavano i paesani nel vedere quel ragazzo portare suono e tuono per le vie di terra , scarico libero e chiusino aperto.
Mai più sarebbe stato tanto felice e bene lo sapeva, consapevole proprio dell'eccezionalità del momento.
Poche piogge quell'Aprile e le strade senza una buca,lisce e bianche coi militi in divisa nera sulle biciclette e sui 500 Gilera e Guzzi a correre chissàdove .
Era la prima moto a molleggio poseriore e cambio a pedale che provava e Burdeis a dire "tutte balle, chissà doveandremo a finire, quante cose inutili..ai miei tempi, le moto si che erano una cosa seria."
Fu proprio con il Pe 238 che quelle ultime volte Eroe andò raggiante da Cia , portandola come una regina per le colline.
Con gli occhi fuori dalle orbite per la gioia immensa di potere sedere così in alto dietro all'uomo che amava, non disse più di no in quel bosco dell'America in cui dopo il giro erano finiti.
Gli alberi alti di castagno e la solitudine di quel prato nascosto parevano proprio la terra promessa e per tutto il pomeriggio e altri ancora quello fu letto e nido, in cui sognare qualcosa di molto loro e molto subito.
Erano due ragazzi, ma con una luce negli occhi con già qualcosa di uomo e donna.
Paesani camminavano sotto i portici per sfuggire alla calura e Eroe si distrasse un momento ad ascoltare un suono che non conosceva, con sguardo perplesso.
"Iso 125, cilindro sdoppiato.Bel motore ma un biroccino, non va avanti."
Pareva che quel ragazzo capisse al volo cosa stava pensando e ancora una volta si stupì, gelato da quel freddo che il blu profondo degli occhi emanava.
Nelle orecchie risuonava ancora il battito lento e cadenzato di quella Guzzi e quell'addio improvviso, poco tempo dopo.
Erano di Cia gli occhi di Bernardo.
Bernardo che nessuno sapeva bene donde venisse e dove fosse nato, non avendolo mai nessun braidese saputolo per certo.
Era tornato con Cia e il padre dopo la guerra e pare che proprio in Lombardia dove era andato per lavoro il padre avesse conosciuto una donna poi morta sotto i bombardamenti.
C'era qualcosa di suo in quei gesti e in quel sapersi capire al volo che ora prendevano una piega inattesa e chiara.
Non si perdonava il non aver più chiesto e cercato, ma quello era il suo carattere.
Da anni si aspettava quel momento, come una nube prossima a scoppiare d'estate e voi in basso che aspettate e nessuna previsione ma solo la certezza di una frescura capricciosa .
"Cia?"
"Mia madre"

Un tutt'uno divennero i ricordi di 15 anni fa e quel giovane davanti a lui.
Piangendo, entrambi iniziarono a parlare.
Senza pensare al lavoro lasciato a metà, i due ordinarono panino e birra.
Qualcosa di nuovo e lesto correva ora davanti a loro, ridendo con sicurezza.
Nulla sarebbe stato come prima.

martedì 19 aprile 2011

Venti neri


Non so cosa provo quando ti pedalo.
Quel faro enorme oscurato davanti e quel bianco panna stinto, al didietro, mi riportano a tempi di cui solo ho sentito parlare.
Non ero nemmeno un pensiero quando tu uscivi con la vernice nera da far male in un periodo in cui quello era un colore che tirava.
Non esisteva Andrea quando misero la museruola al tuo bel cipollone per evitare che dall'alto centrassero il tuo padroncino e la sua bella città.
La A sul canotto e il suo spadato simbolo hanno resistito ai sudori (caldi e freddi) di quegli anni e a tutti i successivi meno paurosi e di certo più allegri.
Nonostante quelli in cui sei nata fossero gli anni di un potere che tolse il lavoro al mio bisnonno perchè rispose di essere iscritto solo al partito della Pagnotta al gerarca che lo interrogò e fu poi messo al muro per aver difeso il figlio latitante e solo un prete lo salvò e anche la casa minacciata di fiamme per aver ospitato dei partigiani, ecco, nonostante tutto, l'emozione non è solo nera.
Mi ricorda la felicità di possedere le ali costosissime che ti permettevano di volare tra le pianure e le colline , a trovare fanciulle sincere e semplici, la gioia di andare la sera per prati buii sotto il cielo stellato, e la voglia di sognare un futuro se non meno nero almeno un poco più allegro e libero.
Quello si.
Non me ne vuole allora se sui parafanghi, una volta tanto, ritocco quel nero che lacrime e le pioggie hanno stinto , e non me ne vuole se le lascio quel faro così scuro, così vivo.
La gomma marcata Legnano dei pedali e l'osso delle manopole sfidano testardi il nuovo millennio, come lo sguardo di quei vecchi cocciuti centenari che nulla più spaura.
Il cielo ora è più sereno, non chiarissimo e qualche nuvola all'orizzonte, ma sapendo entrambi i venti neri alle spalle godiamo appieno delle emozioni che sappiamo donarci.
Liberamente.

lunedì 14 marzo 2011

la bacchettata 2011


Mi sembra ieri.
Sembra ieri che inventavo sul mio vecchio blog un termine che mai e poi mai avrei immaginato avrebbe fatto il giro d'Italia.
O meglio, lo speravo.
Mai speranza fu più esaudita.
La bacchettata, da quell'idea un po'pazza nata il 26 Febbraio 2007 (http://anhero.blogspot.com/2007/02/ciclobacchettiamo.html), ha corso ben più in là delle stradette di Bra.
Ormai, che parlare di bacchettata è divenuta cosa comune (tra i sempre più appassionati di ruggine ), rinnovo l'invito per l'edizione 2011, la quinta.
il percorso si sposterà da Bra a Racconigi, più bello e più pittoresco che mai.
Per stare in compagnia e dire grazie alle nostre amate e curate e vezzeggiate due ruote.
Per sporcarle di terra, per respirare l'aria pura .
Ospiti d'onore saranno quest anno le mitiche Legnano, dopo le edizioni dedicate a Bianchi e Umberto dei.
Impolverate quindi, se le avete, le vostre belle bici lombarde!
Per una bella mangiata.
Tutti i dettagli sono in un post sul forum il cui link giace qui in alto a destra (la piazza della ruggine)
Ritrovo l'8 maggio alle 930 davanti al castello di Racconigi.
Una bella pedalata(saremo oltre la trentina) e poi una bella scorpacciata di buona mangeria piemontese.
Chi vorrà potrà recarsi a visitare il castello o il centro cicogne.
O una bella mostra di bici d'epoca a Moretta (poco distante).
Io, di mio, ci metto anche l'anima.
Voi, mettetevi .
Sperando nella clemenza del tempo(il buon Dio si è già sfogato ben bene lo scorso anno con noi poveri ciclobacchettari).
Per idee e suggerimenti e per i non frequentanti il forum, potete segnare nei commenti qua sotto.
vi aspetto, con tutto il cuore.

sabato 26 febbraio 2011




Non più la tua voce

nel silenzio di questi buii

un secolo fa molto nostri.


Risa piuttosto,

straniere di nostalgie

immemori dell' uomo

di te monco.

mercoledì 2 febbraio 2011

Gramisia


Una tua sorellona verdastra mi ha incantato, un pomeriggio d'estate.
Eravamo io, lei e i suoi tre carburatori intasati dall'oblio.
Non parlo certo il giapponese, nè lo amo molto, ma con quel fanalone mi intesi subito.
Fu gioia, emozione, brivido, quando i muri tremarono e l'aria si riempì del suono e del profumo dei suoi tre cilindri borbottanti.
Kawasaki mach 3.
Abbiamo chiaccherato a lungo, i miei occhi fissi ai terminali.
Un saluto dolce ci accompagnò.
Da allora mi manca quella cattiveria felina che mi stregò allora.
Arrivò una sera, mentre passavo il tempo a sfogliare il mitico Subito.
Blu elettrica bella da levare il fiato.
Decisi di incontrarla subito, tra le nebbie del tortonese.
Bella, ma con un lieve difetto di pronuncia: solo due cilindri mi salutarono festosi, mentre il terzo, mogio, era muto.
Sconsolato, lasciai passare qualche tempo, prima di poterla udire a piena voce urlare la sua sensualità sfrenata.
Ora borbotta insieme a me ai semafori e si lancia a squarciagola per le strade ghiacciate, consumando ettolitri di benzina e di olio.
Che importa se quel telaio è leggerino per il tuo triplice cuore giapponese?
Che importa se ogni volta che ti porto sopra i 6000 giri scondinzoli dietro allegra?
La felicità non ha prezzo.
E poco importa se a molti sei rimasta in mente col nome di Bara volante o di Moto della Morte.
Bella, forte, emozionante, con quel che di gramisia (cattiveria, in piemontese ndr), che non puoi non amarla.
Per qualche pomeriggio, le vecchie bacchette cigoleranno tra loro in garage.
Invidiose di quel suono e di quella rabbiosa gioia che tu, solo tu, sai donarmi.

giovedì 27 gennaio 2011

La pioggia è gioia (12)


L'asfalto cominciava a mandare calore e nel passeggiare Eroe sentì quel vuoto inutile dentro.
Capì che qualcosa stava per rompersi, che poco sarebbe stato come prima.
Un mucchio di cose erano successe e lo avevano lavorato, a volte accorgendosene, e bene.
Era lui, lo stesso che correva bambino con gli altri per fossi a cercar rane, lo stesso che baciò quelle notti la sua bella di nascosto sui fienili, lui che quasi si fece travolgere per toccare la maglietta di Girardengo, lui che sparò e uccise, e col sorriso dovette tornare a vivere.
Gli anni erano volati senza sosta e senza voltarsi, dono gratuito ma ingrato, e proprio questa ingratitudine ora respirava .
Queste e un mucchio di altre cose, insieme a quelle che lo stavano circondando in quei giorni ancora afosi di un'estate che pareva non finire, lo lavoravano e lo rendevano sempre più simile all'uomo che stava diventando.
Passeggiare voleva dire sapere, voleva dire sudare e tremare nella certezza di conoscere ciò che già sapeva da anni.
Quello che per anni era stato il suo tormento, il suo paragone impossibile.
Eroe portava ancora i calzoni corti e correva con una scassatissima bicicletta verde a rocchetto fisso anteguerra , quando conobbe Lucia, Cia per tutti.
Passava davanti alla fontana della stazione come ogni mattina ,e bella se la vedeva rinfrescarsi nelle acque torbide di foglie.
Cominciava allora a farsi le ossa,e non erano solo biciclette le gemme della corona da portare sulla testa quei giorni.
Iniziò ben presto a guardarla di nascosto, lasciandole un fazzoletto e una mela sul marmo della fontana.
Lei prendeva e si guardava intorno, sapendosi guardata e sorridendo con quella malizia bambina che Andrea sognava notte e giorno.
Fu dopo quattro mattine che se la vide arrivare in officina , bella e profumata con la grazia dei suoi 16 anni.
"Sono venuto a riportarti i fazzoletti.Devi fare più attenzione, erano tutti sporchi di grasso.Grazie per le mele."
Paonazzo come un peperone, sotto gli occhi divertiti di Burdeis, Eroe chiese un cinque minuti di permesso.
"Da quando sapevi?"
"Ma da subito, povero farinello.Credi che nasconderti dietro ai pini servisse a qualcosa?"
"E allora perchè...?"
"Volevo vedere quanto andavi avanti...avresti consumato il corredo di tua madre?"
"E finite le mele della cantina...mio padre le conta, ma non importava."
"Non bastava chiedermi di fare una passeggiata?"
"Non si fa cosi, o almeno, io non..."
"Non lo hai mai fatto, vero?"
"No."
"Puoi farlo ora.Son qua che aspetto."
"Esco alle sei.Fino al Falchetto?"
"Anche io alle sei.Ma alla Riva.Abito là."
"Dalla stazione,
stasera."
"Stasera,ciao."
Per mesi erano stati i morosetti "dlà stasiun".
Pioggia o sole, i macchinisti, i camicia nera o i viandanti che si trovavano a passare da quelle parti alle 6 di sera, vedevano i due giovani allontanarsi per la campagna, lui al manubrio , lei sulla canna gambe a lato.
Manco un anno andò avanti.
Fu una sera di maggio in cui i tigli mandavano profumo e dolcezza, che le vide le lacrime e capì tutto e subito.
Non ci furono bisogno di molte parole, passeggiando verso San Matteo.
"Ce ne andiamo.Mio padre cambia fattore."
"Verrò da te.Dovunque."
"A saperlo.Nemmeno lui lo sa.Siam nell bagna."
"Possiamo sposarci.Io voglio bene, te?"
"Non so.Non dire goffagini.Abbiam ancora il latte alla bocca.Dimenticami.Trovati una buona moglie."
"Voglio te."
"No.Non cercarmi più.Fattene una ragione.L'amore finisce."

Con quelle parole fuggì, lesta tra le stoppie.
Se ne andò chissadove due giorni dopo, non una parola di più.
Fu il primo dolore di Eroe, il primo e più forte.
Qualcosa stava per tornare a galla, sotto quel sole ostinato del Cinquanta.

lunedì 17 gennaio 2011

Fiore triste




Fiore triste
Così bello
Così solo

Non è casa tua
questa terra ingrata
brulla di invidie
e di brutture

Non per i tuoi petali
Il grigio del cielo
Apre ogni giorno
i suoi mogi battenti


Delle tue lacrime,
amara rugiada
ti pasci silente.


Attendi,
Tra gl'alti fusti
Folli idoli
D'un tempo non tuo.

Un raggio di sole.
Sorriso inaspettato
Ti darà lo sbocciare
Che sapevi.

Piangendo forte
Riderai il tuo bagliore
La tua vita
Il tuo colore.

E fino alla fine,
fino all'ultimo petalo,
di gusto
Riderai.

sabato 8 gennaio 2011

Macchina da guerra




Qualcuno ricorderà un mio vecchio post in cui descrivevo la scoperta di nobile ferraglia, avvenuta in montagna(dalla montagna con amore).
Una di queste, rivisitata in questi giorni, scopro non essere la Star che credevo ma una.....Irack.
Nome sconosciuto ma....tristemente rassomigliante a quell'Iraq a tutti noto.
Non bastasse, un bel colore verde ..quasi militare.Mah?
Di certo combattè le sue battaglie, su e giù dalla montagna , con in groppa qualche baldo margaro che si avventurava nella piana.
La cosa che mi colpì da subito furono i forcellini posteriori, tipo corsa, con un bel giroruota originale con tanto di galletti in ottone.
Dopo una sommaria lettura, avevo scambiato la scritta Irack con...Star!
Succede, ma nel ripulirla meglio, mi accorgo di quanto ovunque sia stampigliato il curioso marchio: mozzi, guarnitura completa, addirittura...la catena!!!!
Se il telaio tradisce la sua origine corsaiola (a proposito, sotto la scatola della guarnitura spicca un bel CA C..corsa competizione???), a comandare la macchina provvede un bel manubrio Bowden con impianto frenante della stessa casa Inglese.
Pedali in ferro , a sega, senza marca alcuna.
Solo il parafango posteriore era sopravvissuto, stretto, tipo maino.
Non essendoci più l'anteriore, ho pensato di far risaltare l'anzianità e...la vocazione corsaiola...togliendoli del tutto, nella speranza di trovarne un analogo anteriore.
Solo una manopola in cartone parla: Colombo, Diano MArina.Un rivenditore?Un grossista?Mah?
Aspettiamo la primavera per provarla insieme alle altre ...anta sorelle in attesa!!