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domenica 21 maggio 2023
Voli pindarici, Bianchi Icaro 1941
E' una vita che non scrivo qui , lo ammetto.
Oggi torno a rispolverare il vecchio blog per condividere l'emozione di questo ritrovamento.
Inatteso e mai più sognato.
Nella vita, come tutti, faccio sogni, voli pindarici, fantasie.
Coi piedi per terra.
Eppure ogni tanto, qualcosa si avvera.
Metti qualche minuto prima del pasto.
Metti i soliti annunci, da spiluccare e vedere se c'è qualche bella bici nelle vicinanze.
E poi compare lei.
Incredulo.
Tutta lei.
In quel grigio che sa ancora di guerra .
Con quelle greche che sanno del vero lusso.
"L'avranno venduta. ormai..." penso.
Ma sono un ottimista.
E faccio bene.
La risposta giunge rapida, l'accordo è per poche ore dopo.
Se fossi un fumatore avrei consumato una ciminiera.
"Era di uno zio lontano, stiamo sbaraccando l'alloggio e facciamo fuori tutto..."
Piove. Maledetta e benedetta pioggia.
Qualche goccia la lambisce ma sa già che a casa, in casa,in camera, riceverà attenzione.
Bianchi Icaro.
Una rarità assoluta. Conservata divinamente.
Solo alcuni dettagli rivelano un uso moderato e attento.
I pedali sono i suoi, in alluminio, i gommini sono state cambiati.Assieme alle manopole. Ed alla sella.
Mozzi sportivi, a fascetta.
Sul manubrio , scavato e intarsiato come solo lei, ancora tracce di grigio.
I freni frenano perfettamente: pattini come nuovi.
Partafanghi in alluminio , sul posteriore ancora la striscia bianca filettata.
Impianto luce Bosch.Funzionante!
E quei copertoni: 26 1/2 3/4, mai visti, ancora i Pirelli Stella originali.
Gonfiata, ha tenuto perfettamente.
Il telaio derivato dalle corsa del periodo, è comunque pesantino: al confronto, una Ganna Impero coeva, è davvero ben più leggera e scattante.
Ma tanto è.
Gioisco per il ritrovamento. Gioisco per la rarità.
Ed eccola . Con la sua patina che non toglierò.
Pronta per volare .
E stavolta, non per voli Pindarici!
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lunedì 26 maggio 2014
il prezzo dell'oro.
La notte
mandava odori di fieno e terra umida, mentre sopra la salita un manto di stelle
pareva un vortice di luci di natale.
Chino
spingeva la bici con forza, sudando e facendo attenzione alle siepi ed ai
fossi.
In quei
giorni ci si poteva aspettare qualsiasi cosa a qualunque ora, e non si sarebbe
stupito di trovarsi davanti il suo migliore amico, sten puntato, a minacciarlo
o a trucidarlo senza dire amen.
Per quello
stava andando alla spianata della Serra.
Per levarsi
da quel mondo che la vita gli aveva riservato, dopo anni di schiavenza in
cascina, la fidanzata incantonata a 16 anni e un figlio che stava venendo su
grande come la fame e poco o nulla da mangiare a casa.
Perché a 20
anni uno ha voglia di vivere e alzare la cresta, e questo andare in giro coi
ragazzini a rischiare la pelle e bruciare cascine che magari la prossima sarà
la tua , non gli andava proprio più giù.
Chino sapeva
cosa era la fatica, e sapeva le sette croste del pane, ed ognuna era una camicia
sudata e ossa rotte, come per comprare la bici, che aveva dovuto litigare con
padre e prendere ed andarsene una sera che era freddo e paglia umida.
Pure era
servita quella Bianchi, presa nuova dal concessionario di Cherasco e usata su e
giù per le stradette a tiraculo e una volta anche contro un carro aveva
bocciato, ma era festa e finì tutto a manate sulle spalle e a chi beveva prima
il litro.
Per
guadagnare qualche soldo aveva trovato lavoro come campè, che per chi non lo
sapesse è il mestiere di aprire e chiudere le chiuse e va fatto a qualsiasi ora
specie d’estate quando c’è il soffoco e le piante chiedono acqua come ubriache.
Per due anni
si era alzato alle 3 4 di notte, per quello quella sera nessuno si sarebbe
stupito di vederlo girare con la Bianchi.
Doveva
impagliarsela, e se tutto andava bene tra un anno avrebbe fatto vedere a tutti
come si vive.
Ne aveva
alto così con tutti e un pelo sullo stomaco che pochi alla sua età potevano
vantare.
Nel gruppo
dei partigiani in cui era, aveva sentito del lancio dei pacchi una sera che era
di guardia vicino alle staffette ed al comandante.
“Non solo viveri la prossima volta, anche
questi…” ( e intanto aveva scorto l’inequivocabile segno del pollice che
sfrega contro l’indice).
Bene aveva
fatto a farsi mandare un paio di volte, avendo lui la copertura del lavoro
notturno, e a riportare tutto senza spacchettare nulla, convincendo il compagno
che ci sarebbe stato da guadagnarci ad essere onesti, di non fare il babau e
rigare dritto.
Cesco, che
furbo come lui non era ma si fidava e aveva tre anni in meno, aveva capito al
volo e non si era fatto prendere a toccare nulla.
Per quello
mandarono avanti lui quella notte, lui solo che dava poco nell’occhio essendo
anche guardiano dei campi e addetto alle chiuse delle bealere.
“Come sempre, prendi e porta a casa nel
tascapane.Se vedi gente, spara o squaglia.Ma porta tutto, intesi?E non aprire!Mai!”
“Ma ce la faccio da solo?”
“Pacco piccolo ma importante, sulla
canna della bici sta tutto.”
Chino aveva parlato
solo a Rosina, più giovane di due anni ma sveglia e forte e coraggiosa, tutto
aveva detto, anche dei sei sette mesi almeno che non si sarebbero visti .
Dopo, se andava
bene, avrebbero fatto lusso.
Le sorelle ,
i fratelli e meno che meno il padre mai avrebbero dovuto saperlo.
Piuttosto
morto, ma non al padre, esempio di rigore e onestà che mai avrebbe capito quel
gesto.
Per quello
se la volle stringere di più quella sera , col piccolo che capiva tutto e
piangeva , pur vedendo il padre freddo e asciutto più di quello che era sempre..
Non incrociò
nessuno sino al bivio del Mottarotto, da
dove partiva la stradina per la spianata.
Qui gli
aerei alleati mandavano pacchi viveri in gran segreto e solo il comandante e
pochi altri sapevano tempi e modi.
Fu un caso che
lo mandassero solo, e fino all’ultimo pensò se dirlo a Cesco, ma poi si rivide
tutto, proprio tutto si rivide e pensò alla moglie e al figlio, e agli anni che sarebbero venuti e ai discorsi
di padre e madre e così preso l’ordine tirò dritto e nessun pensiero, se non
quello di riuscire.
Aveva avuto
pochi giorni per preparare tutto, ma era furbo e riuscì bene, a cominciare
dalla fascina dietro una siepe che sapeva, piena di rami fitti ma vuota dentro
per nascondere i soldi e il tascapane.
Tutto aveva previsto,
anche l’amico di Genova che lo avrebbe nascosto per sei mesi in una cantina
buia di via Prè, pagando s’intende, ma “se
tutto andava bene, quel buco te lo pago come un grand Hotel.”
La guerra
era alla fine, non riusciva ad immaginare un altro anno come quelli.
Sudava,
nella camicia bianca e nella vestimenta.
Non ci
sarebbe stato tempo di tornare a casa e
spiegare , bastava fare cosa si doveva, andare in bici fino a Bra, prendere il
vapore per Torino e qui per Genova.
La bici
l’avrebbe ritrovata Rosina, in un posto che sapevano dentro un boschetto di
albere.
Come morto
sarebbe stato e fino alla fine aveva pensato se non sarebbe stato meglio
fingere proprio questo, ma vide la faccenda complicarsi e lasciò perdere.
Non pensava
a nulla, quando vide il buio e il fresco dello slargo, a nulla quando accese il
fuoco di segnale.
“Basta che quei mangiacrauti non vedano”,
pensava, era il 1944 e faceva caldo a farsi prendere accanto ad un fuoco in
piena campagna alle due di notte.
Nel freddo e
nella luce gli riuscì per qualche istante di non pensare,di non immaginare alle ritorsioni che avrebbero potuto fare ai suoi.
Era la sua
occasione e avrebbe sacrificato l’ultima briciola di onore per averla.
Non fece
tempo ad accendere la Milit che un rombo , come un tuono, venne da lontano.
“Ci sono, Madonna delle grazie fa che ci sia
cosa si deve e ti regalo mille lire.No, duemila.”
Non fece
tempo a pentirsi dell’offerta, che qualcosa di giallo cadde dal cielo attaccato
al solito grosso paracadute.
Come fece a
venire se ne andò, e lui corse, corse proprio come ci fosse la vita in quel
pacco e lo guardò un istante prima di fare ciò che mai aveva fatto prima.
Come a
nascondersi dal peccato che andava a commettere, si mise dal cespuglio e lo
scartò con la grazia di chi sa le cose rare
ed irripetibili.
E sotto ai
giornali e i fogli di burocrazia li vide, belli e grandi che odoravano di
fresco, e toccarli era un piacere.
Li annusò e
li guardò per un istante che parve eterno, doveva capire che erano veri, che
non era uno scherzo e mentre li guardava, studiava in giro , sentendosi come un
lupo che ha azzannato la preda e non la vuole spartire con nessuno.
Tutto filò
liscio, nessuno si intromise e la pistola che aveva nelle braghe non servì a
nulla.
L’avrebbe
buttata prima di entrare in Bra, e da lì in avanti solo Dio con lui e quei
soldi.
Pur cercando
di mantenere un decoro, sudava fitto ora.
Sapeva che
se l’avessero pescato, partigiani o crucchi, l’avrebbero impalato dove era.
Ogni metro
gli costava sudore e fatica e capì bene quel era il prezzo dell’oro e che chi
aveva soldi in qualche modo se li era guadagnati, comunque.
Arrivò a Bra
che era l’alba quando la prima luce dona
forma e contorno alle cose .
Non si voltò
a guardare la bici , solo si preoccupò di nasconderla bene e che nessuno la
trovasse per almeno qualche giorno.
Poi, Rosina
l’avrebbe presa.
Camminando
nella solitudine della piazza, davanti alla pensilina, aspettò che la
biglietteria fosse aperta, fumando una sigaretta dopo l’altra.
Anche lì gli
andò bene, perché essere presi a venti anni con un tascapane di soldi c’era da
essere spediti piombati in Germania e ringraziare se non c’era del piombo
pronto subito da digerire per l’eternità.
Ma nessuno
passò, e dopo un quarto d’ora si presentò al bigliettaio, chiedendogli
asciutto:
“Genova, un biglietto.”
“Solo andata?”
Speriamo,
rispose.
(ndr : la bici protagonista di questa storia ( vera) , è proprio la Bianchi del 1942 raffigurata nelle fotografie)
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lunedì 23 dicembre 2013
Bianchi Rondine 1936..e la storia di Elvira!
Quando qualcuno mi
propone una vecchia bici, io come quasi tutti gli amici collezionisti, domando
con una certa ansia , prima ancora della Marca, se è da uomo o da donna.
Se la risposta è uomo, con la “canna”come si dice dalle mie
parti, la cosa si fa interessante.
Ma se la risposta è l’altra, gli entusiasmi scemano.
Chissà perché.
In fondo la bici da donna è bella e caratteristica come, se non più ancora, di quella maschile.
Basta guardare le foto di una volta, e si vedrà quante ne
circolavano.
Non voglio credere sia solo una questione di Mercato,
essendo risaputo che una bici da donna vale economicamente sempre meno della
metà della corrispettiva da uomo.
Forse è un motivo d’uso: essendo noi maschietti il novantanove
per cento degli appassionati di ruggine, poco c’aggrada esporci al pubblico
ludibrio su telaio aperto e paragonna.
(Per inciso la bici che uso di più da sempre è una Dei
Imperiale del 1962 da donna, cerchio 28, bici magnifica e scorrevole come nessuna
).
Io, personalmente, le amo tutte, uomo o donna.
In particolare mi affascinano le bici “da prete”, quelle da
donna con cerchio da 28 pollici, che trovo non abbiano nulla da invidiare alle
cugine maschili per ragioni estetiche e
d’uso.
Questo lungo preambolo per giungere ad una delle ultime
scoperte, una Bianchi modello Rondine da 28 pollici del 1936, completamente
integra e conservata a parte la sella sostituita negli anni ’50.
La linea è quella filante delle Bianchi e ricorda molto la
sorella maschile Real, avendo gli stessi parafanghi a pagoda e il carter in 4
pezzi con sportello di ispezione.
I mozzi sono marcati Bianchi in corsivo, ancora un anno e
poi la scritta diventerà in stampato minuscolo nel riquadro.
Le cromature sono la parte che sempre più mi intriga e mi
spinge a lasciare le altre bici per lavorare su una Bianchi anteguerra: paiono
uscite or ora dal bagno di cromatura, tanti risplendono, specialmente quelle
prodotte in proprio dalla Bianchi, ossia manubrio , testa forcella e costa di
parafanghi e carter.
I cerchi, che credo venissero comperati già cromati, hanno
risentito più il tempo passato, pur mantenendo discreta la verniciatura al
centro e parte degli elegantissimi filetti rossi.
Le manopole sono in cartone pressato bicolore, e sono quelle
della linea economica Bianchi che molto le adoperò anche sulla Touring.
Pedali marcati Bianchi in corsivo, con gommini lunghi
originali dell’anteguerra.
Non so di chi possa essere stata questa Bianchi, forse di un
prete per davvero o più verosimilmente di qualche donna non
propriamente..pigmea, che però la adoperò con parsimonia e buon senso,
conservandola in questo ottimo stato sino al nostro 2013.
13-6 1936: la storia di Elvira.
Bici da donna, strani destini e diverse condizioni d’acquisto.
Tutte le anziane donne che ho avuto modo di intervistare,
parlano con nostalgia di quegli anni ‘30 e ‘40 che le videro ragazzine.
Allora era impensabile che una ragazza comperasse sua sponte
una bici ed era consuetudine pressochè universale che queste venissero regalate
in occasioni speciali e…potendo permetterselo!
Voglio raccontare la
storia di Elvira, oggi 91 anni, che ricorda le prime scorribande negli anni ‘30
sulla Wolsit da corsa del fratello ( vinta alla lotteria!) , alla quale avevano
saldato il manubrio al contrario per poterla usare anche da passeggio (
orrore!)
Questa, tornando un giorno dalla spesa dal paese vicino,
aveva 12 anni, si ritrovò con 20 kg di borse della spesa a tracolla e un tronco del manubrio in meno tra le mani..
Che spavento!E le scarpe nuove tutte rovinate!
Per fortuna che il droghiere Tuchin era nei pressi e la
sorresse!
A lei, in occasione del compleanno dei suoi 14 anni, il 13 Giugno 1936, i fratelli fecero una bella
sorpresa.
Risparmiarono mesi e decisero che la sorellina doveva avere una bella cavalcatura!
Risparmiarono mesi e decisero che la sorellina doveva avere una bella cavalcatura!
Quel giorno qualcuno le mandò a dire che il ciclista
doveva parlarle.
Chiesto permesso alla madre ( o tempora, o mores!), si recò
da costui, il quale le chiese quale delle biciclette esposte preferiva.
Lei era già alta per i suoi 14 anni e sulle bici da 26 si sentiva stretta, ricorda.
Imbarazzata, dopo non pochi tentennamenti scelse una
fiammante Bianchi nera da 28 ,e quando il ciclista le disse “vai pure, se ti piace , già tutto aggiustato”,
pensò al peggio.
Un tentativo di adescamento?
Uno sbaglio?
A casa la madre fece faville e solo l’arrivo di uno dei
fratelli calmò le acque e spiegò l’accaduto.
Ancora oggi lo ricorda come uno dei più bei giorni della sua
vita.
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mercoledì 22 febbraio 2012
Noblesse oblige: Bianchi Impero bicolore 1942
Bici strana , questa.
Di lusso, anzi, gran lusso.
Anche il titolo, qui: in genere trovo sempre qualcosa che una bicicletta mi ispira, al di là della sua tecnologia, la sua storia.
Questa , no.
E si che ci ho lavorato quasi 6 mesi, dannatamente, ogni sera.
Sverniciata millimetro per millimetro da quell'orrendo oro con la quale la portai a casa.
Bianchi Impero: un sogno inseguito per anni, tra ferrivecchi e inserzioni golose.
Un amico di ruggine , di quelli veri, qualche mail , ed è stata mia.
Ero felice come una Pasqua , quest'autunno.
Ti spingevo con timore per le vie del capoluogo, osservandoti goloso dei tuoi particolari ricercati.
Abbiam avuto modo di conoscerci a fondo, durante le frede sere invernali, quando ti spogliai di quell'orrendo vestito dorato, e tu rinascesti , araba fenice.
Non nera,colore tanto in voga nel tuo tempo, ma un bel verde militare, lucido e raggiante è tornato timido a rilucere.
Addirittura, sui tubi del carro posteriore, tracce di vernice bianca a pennello: quella data o per ritocco o..per necessità al parafango posteriore, come da prescrizione.
Il carter invece mi disse grigio chiaro, così i bei parafanghi carenati.
Cadmio sui mozzi, cadmio sulle pedivelle: siamo in tempo di guerra!!!
I mozzi son quelli delle normali bici popolari, con ingrassatore, altro che i bei Siamt Bianchi da catalogo!
Il tanto discusso tempo di guerra, tempo di utilizzare ciò che avanzava in magazzino, e allora alluminio o no, pedalare!!!!
La cromatura del manubrio ha tenuto bene, così come quella dei pedali a trombetta, anche essi marcati c42: altra stranezza rispetto a quelli a centro intero da catalogo.
Questa bici è tutta una stranezza!
Completano l'opera un bel gruppo luce Dansi a luce gialla tipica di quel buio periodo (con tanto di paraspruzzo sulla dinamo!) e un paramanubrio extralusso in alluminio e gomma.
In sella:
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I freni interni si son mantenuti egregiamente e alla prima curva non ho invocato nessun Santo, anzi: un pateravegloria al buon Edoardo, che ancora oggi, a distanza di 70 anni, sa regalare emozioni rare e intense.
Non vedrai mai il garage, se non per la manutenzione: la tua casa ora è il salotto.
Noblesse oblige.
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venerdì 23 ottobre 2009
Bianchi Z 1930


Nelle ultime chilate di ruggine, ecco che dietro a un cumulo di porte e un kayak(!!!!)mi imbatto in questa creazione dell'amato Marchio di Viale degli Abruzzi, Milano.
Riconosciuta la marca dall' impianto frenante e dalla corona inconfondibile, carico sulla povera 500 anche lei, insieme alle altre quattro sorelle e ripartiamo allegri per la montagna, fidanzata e cane incluso..
Tornato alle mie salubri colline e all'incasinato garagino, d'acchito noto il manubrio sostituito e un orrendo carter a pistola mezzo marcio.
La cosa che più mi fa ribrezzo sono i parafanghi , che m'han riacceso da subito l'antico istinto parafaghicida.
Smontata la prima vite per eliminare l'obbrobrio, mi accorgo però di un grazioso filetto che spunta dalla ruggine, in tinta col filetto che corre sui tubi del telaio.
Noto con più attenzione la costina che corre in mezzo, e subito il ricordo va ai parafanghi Bianchi anni 40.
Fantasie?Sogni?Mah,bha, mah.. nel dubbio decido quindi di postare delle foto come ritrovata e chiedere aiuto agli amici bianchisti e non..
Sul catalogo Bianchi 1930(questa la data sul movimento centrale), appaiono parafanghini senza accenno alcuno di carenatura, e credo che così fossero, ma...mai dire mai..a voi dunque le sentenze..
Credete sia finita qui?
Ma anche no, cari amici, le pedivelle infatti, pur mantenendo la stessa foggia delle Bianchi, ...non sono marcate!!
Smonta e svita ed..eccoti un bel C1 30-31 punzonato e rupunzonato dietro!
Anche qui..chi ne sa di più??
Graditi pareri e ...un premio a chi svela l'arcano !!!s
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giovedì 27 agosto 2009
Per Signore (e Signori..)

Quando ti di offrono una moto vecchia, è sempre "come una Guzzi".
Per le bici stessa cosa, è "una vecchia Bianchi".
Vado quindi vaccinatissimo dal casciniere che dice di avere una vecchissima bici Bianchi sulla trebbià(palco in legno soprastante la stalla, in piemonte).
Due chiacchere di circostanza e su per una ripida scaletta in legno, retta solo più dai suoi tarli.
La luce è fioca, come sempre.
Sul fondo, dietro a rottami ferrosi e legnosi non meglio precisati intravedo un debole luccichio, è una gemma!
Le palpitazioni aumentano in modo considerevole, ma è quando il proprietario sposta i tabernacoli che le stanno davanti che mi rendo conto di ciò che mi sta di fronte: una Bianchi da donna degli anni 20!
Inconfondibili i pistoncini di foggia piccola e gli archetti dei freni!
Col cuore in gola assaggio i dettagli, nel buio.
Tutto è originale, eccetto il manubrio sostituito con un tipo largo (confalonieri) negli anni 40.
"La mamma era alta, magari toccava con le gambe, non so, io ero piccolino.."
Filetti, filettini, nichelature, splendida.
Ancora non capisco come si sia potuta conservare in un posto tanto umido..
Persino la sella Brooks lady b19 è perfetta, sotto la coltre di polvere!
Contrattata alla morte e portata a casa a tambur battente, prima di pericolosi ripensamenti nostalgici, è stata sottoposta ad attento restauro conservativo,passando davanti a tutte le altre in attesa..
Guardando i cataloghi forniti dal buon Mayno, scopro essere una Bianchi tipo L, la calotta del movimento parla chiaro: 1925!
Il manubrio è stato ora rimpiazzato con uno simile all'originale, ma posteriore, anni 30,differendo quindi solo per il comando del freno anteriore.
Ma mai dire mai..tra tanti amici e tanta ruggine in giro, tutto è possibile..
Due dita d'olio, una gonfiata(le camere in para tengono che è un piacere!)e la Madamina è pronta all'uso.
Roba per signore,verissimo, ma anche per signori..
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mercoledì 1 luglio 2009
il rinforzino

"Ma cosa te ne fai di questa, che ne hai già 10 uguali?"
Cos' tuona il babbo che si vede invadere per pochi giorni lo spazio vitale dell'angusto garage dal nuovo arrivo, tosto scaricato dalla cinquecentina.
Ma il buon genitore non sa del Modello Extra della Bianchi, dotato di rinforzo in zona movimento centrale e della finezza dei tubi a giunzioni invisibili...
Forse una modifica per le passeggiate boschive oppure una miglioria per resistere agli usi e agli sforzi più prolungati...
Praticamente un passo sotto la mitica Super extra, la Impero degli anni 50 a bacchette interne!!
Con emozione assaggio i dettagli nel calore del Giugno..Gemma in vetro posteriore, mozzi senza ingrassatore con scritta corsiva,,
Interrogo i pedali,un poco soffocati dalla polvere bisbigliano 1953!
"Guarda babbo , è nata con te!"
"Lo vedi, ne avevi già uno..."
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venerdì 28 marzo 2008
Liscia come l'olio

Era venuta una sera d'estate, in cui la serranda dell'officinetta restava aperta fino a tardi per godere della frescura notturna.
Qualcuno doveva averle detto di me che riparavo cose vecchie per passione e non lucro, e forse anche bene, chissà.
Nella penombra riconobbi prima la frenatura interna, poi le sue lunghe gambe maestose guarnite da una gonnellina svolazzante e semplice in tulle viola.
Lì per lì rimasi incantato con la chiave del 13 in mano e lo sguardo perso tra il nero del cannotto, ma proprio nero senza alcuna bacchetta cromata o filo e la sua scollatura impreziosita da un merletto delizioso.
Nero.
"Scusa se ti disturbo a quest'ora.So che ti interessano vecchie bici e ho pensato di portarti a vedere questa.Piacere, io sono Gemma."
Istintivo l'occhio si buttava a capofitto al di dietro, dove uno sberluccichio tenue faceva capolino imbarazzato e timido.
"Bianchi Impero!Voglio dire, piacere, Andrea"
"Ma che bravo!Come hai fatto a capire che è una Bianchi?Alllora te ne intendi davvero come dicono.Mi ha dato il tuo indirizzo Sergio, tu sai chi è vero?"
"Come no.Bravo ragazzo.Come mai me l'hai portata?"
"Devo sgomberare il garage, e piuttosto di gettarla preferisco darla a qualcuno che se ne prenda cura.."
Fu in quel momento che le budella m'andarono in gomitolo davvero, e non fu solo per la Murazzano al Barbera che avevo appena mangiato.
Una Bianchi Impero.
Il sogno di una collezione.
Nera e bella.
Bella, appunto.
"Liberartene?Perchè mai?Una bici così bella va curata e tenuta non in garage, ma nella stanza da letto."
"Addirittura!Mio papà l'avrebbe già buttata da mesi..Ma se non ti interessa la darò a qualcun altro.."
"Davvero non vuoi tenerla?Magari è un ricordo.."
"Si era del nonno, poverino.Lui è morto dieci anni fa, ero piccola.."
" Allora curala, amala in suo ricordo.Se vorrai, ti aiuterò a rimetterla in sesto.."
"Non saprei dove metterla.Davvero, prendila.Dammi quello che ti sembra giusto."
Se fossi stato Humprey Bogart o robe del genere, l'avrei baciata e me ne sarei scappato con la Impero.
Come minimo.
Ma il suo sorriso sfida queli tubi senza congiunzioni visibili.
La sua pienezza contrasta così bene con l 'assenza delle bacchette che separarle, sarebbe delitto.
Sudo freddo.
"No, se vuoi vieni qui alla sera e insieme troveremo la soluzione.Vorrei che continuasse a essere tua.E bella. "
"Va bene. Mi hai convinto.Verrò forse al venerdì. Questo è il numero.Ma la bici la lascio qui, per ora."
Col venerdi arriva il martedì, il giovedì, la notte insieme, il grasso sui cuscinetti, i copertoni nuovi sui cerchi da 28.
E le parole nel buio soffuso rotto solo dalla lampadina in alto, circondata dai moschini.
In quelle sere imparasti il pregio della frenatura interna Bianchi, l'eredità della Super R, la mia passione, il tuo amore per l'Arte e il Teatro.
Poi venne la Sera.
La Prova.
Eravamo emozionati come due bambini, tu con il tuo gioiello luccicante e ingrassato, sempre bella nella tua abbronzatura, io con la cugina Smeraldo, meno blasonata, ma altrettanto felice di esserci.
I Radius mandano più luce di un sole a mezzogiorno e la frescura ammanta il tuo abitino bianco.
Vicino alla bialera scendiamo ad ammirare le stelle e tra il gracidare delle rane mi abbracci, inaspettata.
Desiderata.
Le mie mani ti toccano, ti accarezzano e ti desiderano.
La tua pelle scorre sotto la mie mani incallite , vellutata.
"Allora, come va questa bicicletta, signor meccanico?"
"Liscia.Liscia come l'olio."
Qualcuno doveva averle detto di me che riparavo cose vecchie per passione e non lucro, e forse anche bene, chissà.
Nella penombra riconobbi prima la frenatura interna, poi le sue lunghe gambe maestose guarnite da una gonnellina svolazzante e semplice in tulle viola.
Lì per lì rimasi incantato con la chiave del 13 in mano e lo sguardo perso tra il nero del cannotto, ma proprio nero senza alcuna bacchetta cromata o filo e la sua scollatura impreziosita da un merletto delizioso.
Nero.
"Scusa se ti disturbo a quest'ora.So che ti interessano vecchie bici e ho pensato di portarti a vedere questa.Piacere, io sono Gemma."
Istintivo l'occhio si buttava a capofitto al di dietro, dove uno sberluccichio tenue faceva capolino imbarazzato e timido.
"Bianchi Impero!Voglio dire, piacere, Andrea"
"Ma che bravo!Come hai fatto a capire che è una Bianchi?Alllora te ne intendi davvero come dicono.Mi ha dato il tuo indirizzo Sergio, tu sai chi è vero?"
"Come no.Bravo ragazzo.Come mai me l'hai portata?"
"Devo sgomberare il garage, e piuttosto di gettarla preferisco darla a qualcuno che se ne prenda cura.."
Fu in quel momento che le budella m'andarono in gomitolo davvero, e non fu solo per la Murazzano al Barbera che avevo appena mangiato.
Una Bianchi Impero.
Il sogno di una collezione.
Nera e bella.
Bella, appunto.
"Liberartene?Perchè mai?Una bici così bella va curata e tenuta non in garage, ma nella stanza da letto."
"Addirittura!Mio papà l'avrebbe già buttata da mesi..Ma se non ti interessa la darò a qualcun altro.."
"Davvero non vuoi tenerla?Magari è un ricordo.."
"Si era del nonno, poverino.Lui è morto dieci anni fa, ero piccola.."
" Allora curala, amala in suo ricordo.Se vorrai, ti aiuterò a rimetterla in sesto.."
"Non saprei dove metterla.Davvero, prendila.Dammi quello che ti sembra giusto."
Se fossi stato Humprey Bogart o robe del genere, l'avrei baciata e me ne sarei scappato con la Impero.
Come minimo.
Ma il suo sorriso sfida queli tubi senza congiunzioni visibili.
La sua pienezza contrasta così bene con l 'assenza delle bacchette che separarle, sarebbe delitto.
Sudo freddo.
"No, se vuoi vieni qui alla sera e insieme troveremo la soluzione.Vorrei che continuasse a essere tua.E bella. "
"Va bene. Mi hai convinto.Verrò forse al venerdì. Questo è il numero.Ma la bici la lascio qui, per ora."
Col venerdi arriva il martedì, il giovedì, la notte insieme, il grasso sui cuscinetti, i copertoni nuovi sui cerchi da 28.
E le parole nel buio soffuso rotto solo dalla lampadina in alto, circondata dai moschini.
In quelle sere imparasti il pregio della frenatura interna Bianchi, l'eredità della Super R, la mia passione, il tuo amore per l'Arte e il Teatro.
Poi venne la Sera.
La Prova.
Eravamo emozionati come due bambini, tu con il tuo gioiello luccicante e ingrassato, sempre bella nella tua abbronzatura, io con la cugina Smeraldo, meno blasonata, ma altrettanto felice di esserci.
I Radius mandano più luce di un sole a mezzogiorno e la frescura ammanta il tuo abitino bianco.
Vicino alla bialera scendiamo ad ammirare le stelle e tra il gracidare delle rane mi abbracci, inaspettata.
Desiderata.
Le mie mani ti toccano, ti accarezzano e ti desiderano.
La tua pelle scorre sotto la mie mani incallite , vellutata.
"Allora, come va questa bicicletta, signor meccanico?"
"Liscia.Liscia come l'olio."
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