lunedì 17 ottobre 2011

Parola mia, che bici!



Parola, dissi all'anziano in quella cantina buia che sapeva di vino e di paglia, mai vista una bici del genere.
Tra bottiglie vuote e cartoni l'umido aveva corroso le gomme e buona parte del legno del cerchio posteriore.
Ma non quelle decalche che resistono ai freddi e agl'anni che corrono.
Manubrio marcato Confa 1938 e tracce di vernici con colori che non usano più da lustri.
Era d'un imbianchino?
Parola mia, non posso giurarlo, ma sarebbe delitto cancellare quelle lacrime colorate e allora vai di lucido, paglietta e cera, ma lontano da loro che orgoliose raccontano una Parola dimenticata.
Il bianco del parafango dietro tiene bene, così la gemma in vetro, ussara ancora per i tempi che verranno.




Paura per chi ci segue?
Una Parola farsi vedere,aggiungiamoci un lucchetto con luce, sì da scoraggiare malintenzionati e tamponatori.
Al campanello provvedette il buon Parola, regalandoci il suo, firmato, e appendendocelo stretto stretto alla sinistra del manubrio, così stertto che ancora lì proprio diffonde il suo cicalare.
A vedere davanti un Dansi vorrà illuminarci il cammino, pur non troppo ostile per non impensierire i lignei cerchioni.





Chissà quante ne sono sopravvissute, chissà se una sorellina a telaio aperto uscirà fuori da qualche parte.
Che sia l'unica, non posso dirlo: sarebbe la mia Parola contro la vostra.

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