venerdì 8 novembre 2019
E' più forte di me.
Un giorno lessi un articolo che mi commosse.
Parlava del pilota australiano Ginger Molloy, che, ormai settantenne, diceva ad un amico che sarebbe stata l'ultima volta che correva.
Alcuni anni dopo, lo stesso lo vide a trafficare su di una moto, prima di una gara.
" E' più forte di me.." disse laconico come se il discorso non si fosse mai interrotto.
Si cresce ma non si cresce mai, altrove.
E bene che sia così.
Ciò che ha colpito il nostro immaginario nell'infanzia, ciò che ci ha fatto sognare , ciò che ha nutrito i nostri archetipi , vive.
Poco da farci.
Per tornare alle anticaglie, nonostante sia prossimo agni " anta", esplode in me quella verve bambinesca ogni volta che vedo una bici arrugginita, una gemma, un motorino ( quelli da donna, arrugginiti e con quei parafanghi che non finiscono più).
Ecco.
Qualche settimana fa, si era ad un mercato a Cuneo, faccio due chiacchiere con l'amico Max.
Che, tra le varie merci esposte, aveva appunto uno di questi trabiccoli, invero poco ricercati dal collezionista raffinato.
E parla e parla, e chiacchiera chiacchiera, lo sguardo non si staccava più dal motore Franco Morini prime serie, dal fanalino posteriore, dalla sella vissuta ma ancora sua ed orgogliosa.
" Fai mica lo scemo " dicevo tra me e me -" hai già pensato più di una volta di venderli tutti e non hai più posto.."
Insomma, eccolo sulla povera Tigra in direzione casa.
Lo sguardo degli avventori , nel portarlo fuori, è sempre lo stesso: pietoso, commiserevole, proprio come quello che si rivolge ai pazzi.
O ai bambini.
La moglie, di sguardi non ne fa nemmeno più.
Tanto sa già.
E per un pomeriggio torno bambino , piccolissimo, quando con la nonna, al mercato vecchio vedevo quei motorini in mano a tanti vecchi leva fine '800 con tanto di ceste per il pollame e grandi mazzi di porro sui portapacchi dietro.
E fumo, e rumore di aspirazione , forte .
E poi c'è il ragazzino che implora il padre di portarlo alla locale demolizione, che vuole salvare questi semi d'un mondo che ( lo sa! ) si sta estinguendo.
E poi e poi e poi..ci sono io.
Ormai padre ma ancora bambino ed innamorato di questi " frubi" ( così in lingua piemontese).
E le ore volano, e la scintilla arriva ( le puntine le ho sempre amate).
E , sorpresa, un bel calabrone già mezzo intontito dal fresco autunnale sbucare dal grasso sotto al pignone.( liberato con ogni cura, con buona pace degli animalisti).
E un litro di miscela ( grassa, molto ).
E subito quel fumo, e i resti della miscela che fu ad impestare il cortile e la moglie ( stavolta si) che sbraita di non impestargli le lenzuola stese.
Non lo pulirò neanche.
Proprio così, lo voglio: c'è già tutto.
Per essere felici, basta poco. ( spazio permettendo).
Recupero di un Cimatti fine anni 50, ora all'ingresso del mio studio .( naturalmente dans son jus)
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giovedì 19 settembre 2019
Vola l'estate
Stamattina , in macchina, volava una zanzara.
In tempi recenti l'avrei schiacciata senza remore, rischiando l'incidente e sperticandomi in voli acrobatici.
Oggi, cielo plumbeo , maglioncino a collo alto, un autunno sempre più immanente, ho desistito.
Ho frenato ed ho aperto il finestrino.
Ho dato due bracciate perché, sospinta dalla folata, uscisse illesa.
L'ho vista uscire, credo poco consapevole della grazia ricevuta.
Volava verso la campagna, lontano tra le nebbie .
Vola l'estate, ho pensato.
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martedì 16 luglio 2019
Resti tra noi.
Di moto ne ho tante. Grandi, piccole, più vecchie, meno vecchie. Alcune da corsa e veloci, altre pacifiche trottapiano ma egualmente carismatiche. Ne ho raccolte tante, le amo tutte.
Eppure, eppure.
Ogni tanto, quando qualcuno non mi fa la fatidica domanda, capita di pensarci.
" Qual è la mia preferita?"
Dubbi, in questo caso, ne ho pochi.
Domenica scorsa me la sono portata ( anzi ri-portata) alla salita di Montemale .
Come ogni anno.
Da quando decisi, dopo anni di desiderio, di crearmi una replica abbastanza credibile del Benelli da corsa degli anni 50.
Moto che pochissimi conoscono.
Motore indistruttibile, 4 marce a mano, megafono libero come tutte le vere Benelli 48 da corsa.
Leggera, essenziale, col parafango alla Ambrosini che sembra fendere l'aria anche da ferma.
Tornando al discorso, assieme a lei ogni volta porto qualche avvenente moto della raccolta, magari blasonata come la monoalbero 250 dell'anno passato.
Moto godibili, emozionanti.
Eppure, eppure.
Sorrido come un bambino quando, nel baccano delle moto in coda, tutti si voltano per capire donde provenga quel frastuono tanto atipico.
Perché è un suono talmente dimenticato da far sorridere , prima di allontanarsene.
E se qualcuno si avvicina e, per un momento, capisce e ti capisce, allora anche tu capisci che è uno che se ne intende, e che quei pochi secondi accanto allo scarico apertissimo li state condividendo e centellinando.
E poi c'è la partenza.
Col gas aperto, la prima innestata e il contorno fumigante alla mago merlino, i giovanotti con gli occhi di fuori e le mani sulle orecchie.
E poi vedi la bandiera e la strada che si fa sempre più lesta e la seconda e la terza e se ci scappa anche la quarta.
Se non scappa, dal selettore.
Pubblico ce n'è pochino, quest'anno. Ma basta.
Perché, forse stanco delle solite quattro cilindri e delle moto da duecentocomeridere, vedersi arrivare il de cuius a ...quaranta all'ora tutto concentrato su cambio e frizione, è una scena d'altri tempi.
E intanto le curve si fanno più strette e giocando col cambio parlo sempre più spesso al motore, al cilindro arroventato, pregandolo di non grippare, che all'arrivo ci sarà altra miscela , più grassa se lo desidera.
Sull'ultimo rettifilo in piena salita, con la seconda che..basta e avanza, pare che tutta l'energia e tutta la gioia di vivere passino per la mente e sfoghino in quel megafono e i sorrisi del pubblico, genuini, ti fanno capire che quello che stai cavalcando non è neppure una moto, ma un avvenimento.
Saperlo così tuo, così intimo eppure così pubblico, fa si che ogni volta che il piccolo e generoso motore urla nel frastuono dei muri in pietra, scateni poche lacrime di pura gioia, di felicità estrema.
Queste e molte altre cose sono questo Benellino, ma nessuno le saprà mai.
Accarezzandolo, mentre il motore arroventato chiede riposo e frescura, gli sussurro sempre, lieve: resti tra noi.
Eppure, eppure.
Ogni tanto, quando qualcuno non mi fa la fatidica domanda, capita di pensarci.
" Qual è la mia preferita?"
Dubbi, in questo caso, ne ho pochi.
Domenica scorsa me la sono portata ( anzi ri-portata) alla salita di Montemale .
Come ogni anno.
Da quando decisi, dopo anni di desiderio, di crearmi una replica abbastanza credibile del Benelli da corsa degli anni 50.
Moto che pochissimi conoscono.
Motore indistruttibile, 4 marce a mano, megafono libero come tutte le vere Benelli 48 da corsa.
Leggera, essenziale, col parafango alla Ambrosini che sembra fendere l'aria anche da ferma.
Tornando al discorso, assieme a lei ogni volta porto qualche avvenente moto della raccolta, magari blasonata come la monoalbero 250 dell'anno passato.
Moto godibili, emozionanti.
Eppure, eppure.
Sorrido come un bambino quando, nel baccano delle moto in coda, tutti si voltano per capire donde provenga quel frastuono tanto atipico.
Perché è un suono talmente dimenticato da far sorridere , prima di allontanarsene.
E se qualcuno si avvicina e, per un momento, capisce e ti capisce, allora anche tu capisci che è uno che se ne intende, e che quei pochi secondi accanto allo scarico apertissimo li state condividendo e centellinando.
E poi c'è la partenza.
Col gas aperto, la prima innestata e il contorno fumigante alla mago merlino, i giovanotti con gli occhi di fuori e le mani sulle orecchie.
E poi vedi la bandiera e la strada che si fa sempre più lesta e la seconda e la terza e se ci scappa anche la quarta.
Se non scappa, dal selettore.
Pubblico ce n'è pochino, quest'anno. Ma basta.
Perché, forse stanco delle solite quattro cilindri e delle moto da duecentocomeridere, vedersi arrivare il de cuius a ...quaranta all'ora tutto concentrato su cambio e frizione, è una scena d'altri tempi.
E intanto le curve si fanno più strette e giocando col cambio parlo sempre più spesso al motore, al cilindro arroventato, pregandolo di non grippare, che all'arrivo ci sarà altra miscela , più grassa se lo desidera.
Sull'ultimo rettifilo in piena salita, con la seconda che..basta e avanza, pare che tutta l'energia e tutta la gioia di vivere passino per la mente e sfoghino in quel megafono e i sorrisi del pubblico, genuini, ti fanno capire che quello che stai cavalcando non è neppure una moto, ma un avvenimento.
Saperlo così tuo, così intimo eppure così pubblico, fa si che ogni volta che il piccolo e generoso motore urla nel frastuono dei muri in pietra, scateni poche lacrime di pura gioia, di felicità estrema.
Queste e molte altre cose sono questo Benellino, ma nessuno le saprà mai.
Accarezzandolo, mentre il motore arroventato chiede riposo e frescura, gli sussurro sempre, lieve: resti tra noi.
martedì 19 febbraio 2019
Bacchettata 2019 : BRA 5 Maggio!
Come ogni anno torna l'appuntamento braidese per gli amanti della bici a bacchetta e della passeggiata tranquilla.
Quest'anno , la quattordicesima edizione sarà dedicata al grande Guido Saracco " Sarachet", ciclista, poeta e musicista astigiano che amo moltissimo.
Per l'occasione cavalcherò una sua creazione a ballonetto e nella consueta pausa culinaria a metà percorso, oltre a leggere qualcosa......sorpresa!
Il percorso sarà totalmente pianeggiante, classico tragitto Bra- Casa del Bosco-Riva - Bra, circa 15 chilometri in tutto con pausa a metà.
Invito tutti a portare qualcosa da mangiare e da bere da condividere per il pranzo che si farà sulla terrazza di casa mia.
Al pomeriggio chi vorrà e ....sarà ancora sobrio, potrà fare accesso alla mia collezione...un po' impolverata!
Ritrovo a Bra in Piazza Spreitebach, ore 9,00 circa del 5 Maggio
Prego chiunque coglia partecipare di darmi conferma via mail, a.galeasso@libero.it oppure di scrivermi su facebook ( Andrea Galeasso)
Vi aspetto numerosi!!!!
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venerdì 8 febbraio 2019
Gira che ti rigira.
Fa freddo eppure qualcosa da fuori mi chiama.
La luce del primo crepuscolo balugina incerta sopra i tetti di Bra e lo sguardo di mia madre mentre infilo sciarpa e guanti vale già la strada che farò.
" Col freddo che fa" mi dice.
Sorrido.
Guardandole appese sorrido imbarazzato ma, dico davvero, è dalla sera prima che sento di volerla pedalare.
Sudando come un dannato scarto almeno 8 biciclette prima di togliere dal gancio la vecchia Lygie.
" Freni a tenaglia, gomme giù.." penso .
Una bella gonfiata e qualche pacca di straccio le ridanno il bel vigore che ancora sa offrire.
Uno dei pochi restauri non miei, ma ben fatto: qualcosa da rivedere c'è, più avanti. Magari in primavera, penso, mentre già il viale si fa sotto e le prime luci delle auto sfrecciano anonime verso chissà dove.
Pedalo e so già che andare a fare la commissione è solo una scusa e so ancor meglio come allungare a bella posta il tragitto.
Mille anni che non pedalo eppure la gioia è sempre lei; solo la fatica si sente : gioia pur essa.
Gira che ti rigira tra i dedali che ho amato e ancora desidero finisco sempre al vecchio mercato del bestiame, dove da piccolissimo osservavo le vecchie bici appoggiate alle traverse e mi specchiavo nelle gemme impolverate misurando la mia piccolezza rispetto ai copertoni altissimi.
" Ero piccolo" penso appoggiando la Lygie.
Mi siedo.
Intorno molto è cambiato e molto cambierà ancora, ma se qualcosa vorrei conservare è proprio quella piazza con la terra e i giocatori di bocce e anche le bestemmie e le cappelline d'estate e le canottiere sudate.
Paesani muoiono a frotte e nuova gente e nuove culture prendono piede nella città: il mondo fila così.
Pure, perché tutto scorra senza rancori e senza troppe rabbie, qualcosa dovrà restare, qualcosa che dia senso e continuità a ciò che fummo per farci migliori e più fermi in ciò che saremo.
Queste e molte altre cose ho pensato, pedalando dopo i cinque minuti di allegra nostalgia sotto quel portico di cemento, tra la polvere ghiacciata di una piazza che non muore.
La bicicletta di queste cose se ne infischia altamente e scorre lieta sugli asfalti in pendenza che mi riporteranno a casa, sudato .
Mia madre, compassionevole, studierà con un'occhiata i miei sudori e, porgendomi qualcosa di caldo sarà lesta a dirmi: gira che ti rigira.
La luce del primo crepuscolo balugina incerta sopra i tetti di Bra e lo sguardo di mia madre mentre infilo sciarpa e guanti vale già la strada che farò.
" Col freddo che fa" mi dice.
Sorrido.
Guardandole appese sorrido imbarazzato ma, dico davvero, è dalla sera prima che sento di volerla pedalare.
Sudando come un dannato scarto almeno 8 biciclette prima di togliere dal gancio la vecchia Lygie.
" Freni a tenaglia, gomme giù.." penso .
Una bella gonfiata e qualche pacca di straccio le ridanno il bel vigore che ancora sa offrire.
Uno dei pochi restauri non miei, ma ben fatto: qualcosa da rivedere c'è, più avanti. Magari in primavera, penso, mentre già il viale si fa sotto e le prime luci delle auto sfrecciano anonime verso chissà dove.
Pedalo e so già che andare a fare la commissione è solo una scusa e so ancor meglio come allungare a bella posta il tragitto.
Mille anni che non pedalo eppure la gioia è sempre lei; solo la fatica si sente : gioia pur essa.
Gira che ti rigira tra i dedali che ho amato e ancora desidero finisco sempre al vecchio mercato del bestiame, dove da piccolissimo osservavo le vecchie bici appoggiate alle traverse e mi specchiavo nelle gemme impolverate misurando la mia piccolezza rispetto ai copertoni altissimi.
" Ero piccolo" penso appoggiando la Lygie.
Mi siedo.
Intorno molto è cambiato e molto cambierà ancora, ma se qualcosa vorrei conservare è proprio quella piazza con la terra e i giocatori di bocce e anche le bestemmie e le cappelline d'estate e le canottiere sudate.
Paesani muoiono a frotte e nuova gente e nuove culture prendono piede nella città: il mondo fila così.
Pure, perché tutto scorra senza rancori e senza troppe rabbie, qualcosa dovrà restare, qualcosa che dia senso e continuità a ciò che fummo per farci migliori e più fermi in ciò che saremo.
Queste e molte altre cose ho pensato, pedalando dopo i cinque minuti di allegra nostalgia sotto quel portico di cemento, tra la polvere ghiacciata di una piazza che non muore.
La bicicletta di queste cose se ne infischia altamente e scorre lieta sugli asfalti in pendenza che mi riporteranno a casa, sudato .
Mia madre, compassionevole, studierà con un'occhiata i miei sudori e, porgendomi qualcosa di caldo sarà lesta a dirmi: gira che ti rigira.
martedì 5 febbraio 2019
Peggio di Prina.
Mille secoli fa pubblicai un post relativo all'eccezionale ritrovamento di una Prina del 1947 ( Meglio di Prina).
Oggi presento i resti di quel che fino a poche settimane fa furono le spoglie mortali di una magnifica Prina ballon anni 40.
Purtroppo le mani folli del solito commerciantucolo di turno hanno violato e malmenato quel che gli anni avevano conservato discretamente.
Novello tombarolo da strapazzo, il de cuius ha nell'ordine:
-tagliato col flessibile il raro carter tipo taurus
- eliminato pedivelle e pedali
- tagliato col flessibile il portafaro ( costava tanto togliere una vite? )
-quasi tagliato il manubrio per togliere il campanello ( ci giuro, marcato Prina).
Non ancora ebbro della follia prinicida ha poi strappato la dinamo e la gemma posteriore , salvando per fortuna la sella marcata prina.
Con la pena nel cuore attendo che qualche colpo di fortuna salvi i poveri resti strappati alla morsa della pressa, anche se di lacrime, per l'amaro prinicidio, ne ho versate parecchie....
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