L’autunno avanzava veloce e l’inverno 1949 si preannunciava nevoso e freddo.
Si sentiva già dal rumore delle foglie che cadevano, secche e decrepite, dall’odore di umido che saliva dalle cantine di Via Cavour , dai colpi di tosse degli operai che correvano in bicicletta o col Motom dopo la prima sirena delle 7.45.
Tale e Ciccotto erano appena tornati dal giro “del ferro” , che però era stato magro.
“Manco due pali e una bici rotta.Miseria.”
“Cosa vuoi, c’è la malora.Quel Giusto: se non era per me nemmeno150 ci dava.
Miserabile.”
“Ho una fame che mangerei un tavolo.A casa non ho voglia di tornare, sempre la solita zuppa.Ci andrebbe bollito, e bagnetto verde e vino, e canti.Quello sarebbe vivere.”
“Quanto hai?”
“Con i 75 di oggi e i 30 per le sigarette faccio 105.Tu?”
“Pelato come la coda di un maiale.75 secchi.”
“Mangiamo pane e acciughe e se va bene un mezzo litro a testa.”
“Dall’Angelo farebbero credito, ma sono storie che non mi va di fare.”
“Sempre così.Chi ha pane non ha denti e chi ha denti…”
“Ma stai bravo che l’ultimo lo hai perso 10 anni fa e hai sempre mangiato.Lascia fare la predica ai preti, va.”
Intanto i due erano arrivati al vespasiano sulla piazza, sporco e maleodorante e Tale volle almeno prendersi la soddisfazione di fare due gocce, almeno quelle gratis, che diamine.
Dallo spiraglio aperto Tale vedeva l'insegna bella e splendente del "Gambero rosso", e scacciando le mosche disse forte:
“
Al Gambero rosso, bisognerebbe andare.Solo che c'è la Signora Rosa e credito non ne farebbero ad ogni modo.Roba fina, di gran lusso.Dicono che servano sempre una qualità diversa di pesce al giorno.”
“Mangerei giusto del pesce.Con vino bianco.”
“Si , ma per togliere le lische a quel pesce devi caricare altro che il quintale sulla groppa.Non fa per noi.”
Fu nel rimettersi a posto i calzoni e sentendo sporco intorno ma anche fame e voglia proprio di mangiare che a Tale venne in mente che lui e Ciccotto erano brave persone.Che avevano diritto eccome a mangiare anche loro pesce , non avendo ammazzato nessuno e sgobbando come e più dei signori.Che non sapevano la neve, il freddo e la fame.Sicuro, avrebbero mangiato pesce.
Pensando a questo continuava a scacciare le mosche che regnavano nel puzzo fetido e nel farlo si chiedeva per quale ragione al mondo ci fossero.
Maledette pure loro.
“
Vai a casa a cambiarti, oggi il pesce lo mangi anche tu e stiamo come Papi.Solo, datti una bella lavata , fatti la barba e camicia bianca.E niente segala, intesi?”
“Il pesce?Lavarmi?ma tu sei folle nel cervello.La barba me la son fatta che non son venti giorni e chi ha voglia di tirare giù il semicupio dalla trebbiata?La fatica che ho fatto a Pasqua , la so io.No, tu sei folle.”
“Vuoi mangiare?Ascoltami per bene e stasera avrai i dolori dalla roba che avrai ingollato.Và a casa, penso io a tutto.”
Ciccotto, fiducioso, corse a casa e tirò fuori dalla guardaroba che sapeva di naftalina la vecchia vestimenta di nozze.Era ingrassato da allora e dovette tribolare non poco per entrarci .
Due bottoni dorati saltarono via e non ci sarebbe stato comunque verso di riattaccarli, a causa della pancia che aveva.
Fattosi la barba e ripulito il viso dallo sporco che sapeva di terra e ferro si versò addosso mezzo flacone di colonia della moglie, che in quel momento era al mercato.
“Il bagno no, che diavolo..manco tre mesi che mi son lavato.Pà mi diceva sempre: attento all’acqua, e aveva ragione.Morto a 85 anni, mai visto lavarsi una volta.Alla malora, son profumato, basta già.Tale e le sue fissazioni.”
Scoccava in quel momento il mezzogiorno e operai a frotte si riversavano davanti allo slargo della stazione per andare a casa a mangiar il pranzo o recarsi all’osteria a bere il mezzo litro per accompagnare il pane salame che la moglie o la madre gli avevano preparato.
Nell’aria un vociare allegro, festoso, unito al fumo dei micromotori petulanti e il brontolio dei motori a quattro tempi Motom.
In quel trambusto Tale si vide arrivare Ciccotto e la figura che faceva valeva già il pranzo.
“
Ma sei folle? Andiamo mica a nozze.Dio santo, avere a che fare con i campagnini.Che figure, che figure.Andiamo solo che ho una fame del diavolo.”
“Ma i soldi?”
“Tutti qui” e dicendolo Tale indicava un vecchio cartoccio da pane ben arrotolato nella tasca della giacca buona.
“
Sembra piccolo.Non c’è tanti soldi lì dentro.Ma sei poi sicuro?”
“Hai fame?Vuoi mangiare bene? Seguimi.”
La piazza era meno affollata e mucchi di biciclette erano ammassate davanti alle trattorie e le panche dei giardini della stazione.
Il meccanico Burdeis arrancava cupo la sua bici a scatto fisso di prima della guerra e il suono lacerante del Motom a tubo libero del garzone Bernardo annunciava proprio che era tempo per tutti di mettere i piedi sotto il tavolo e darci dentro perché:
“
A tavola e a letto nessun rispetto” .
Il “Gambero rosso” era a un angolo della piazza e già da fuori capivate che non era roba da tutti, essendoci menù in elegante bacheca dorata e un’insegna dipinta raffigurante un Gambero sopra un mucchio di monete.
Tale avanzava sicuro come chi porta con sé soldi e tempo per spaccarli, mentre Ciccotto , titubante, rimaneva tre passi indietro.
Davanti alla porta in vetro colorato Tale si voltò ancora una volta:
“
Scolta, se non hai fame e non ti fidi, stai fuori.Vado anche solo.Nessun problema.”
“
Ma sei poi sicuro?io qui non ho soldi neanche per una gazeuse.”
Ma Tale era uomo di poche parole e Ciccotto sapeva che se voleva una cosa sempre la otteneva e così, finalmente, decise di entrare.
Prima che arrivasse un cameriere Tale si voltò a dare una spolverata alla giacca dell’amico e a sistemargli per bene la camicia che usciva dai pantaloni.
“
Sembri una stalla, ti si sente da qui alla stazione.Figure da cioccolataio che faccio: non potevi lavarti?”
“Ma ho messo il profumo.”
“Mai provato a versare profumo in un letamaio?”
“No.”
“Ecco, lascia andare.Solo buoni da campagna voi della Riva.”
Intanto la padrona del locale, con la sua mole e la sua autorità, era sbucata da una porta laterale e osservava i due con curiosità.
Conosceva per fama chi erano e cosa facevano ma sapendoli buoni non disse nulla, perché era vecchia del mestiere e sapeva che prima o poi tutti hanno voglia di un buon pranzo, costi cosa costi.
Il locale non era molto pieno, visti i prezzi, e Ciccotto si sentì osservato dai due seduti nell’angolo, che pur essendo settimana erano in vestimenta e cravatta.
“
E non guardare.Bambaccione.Quello è il commendatore Bunamì.”
“Mangio col Cumendatur.Da raccontare.”
Si sedettero al tavolo all’angolo opposto, vicino alle cucine.
Ciccotto pensò che Tale avesse in mente qualcosa, lo si vedeva da come guardava in giro con aria apparentemente casuale.
Più di una volta Ciccotto vide Tale all’opera e volle fidarsi.
“
I signori gradiscono l’antipasto?”
“Portaci funghi, acciughe e vino.Tanto vino.E pesce.Siam qui apposta, sai?”
“Per antipasto oggi abbiamo gamberi di fiume in salsa.I Signori gradiscono?”
“Porta , porta.E il vino.Tanto vino”
Ciccotto, che non conosceva galatei ma solo aie e fienili, usava toni da cascina e si guadagnò subito
le occhiate degli altri commensali.
“
Fai parlare me, zucca vuota.Sembra che chiami un bue, qui non si urla, si parla.”
“Basta mangiare.Ho una fame.”
Arrivarono i gamberi, che erano cosa Dio fece, arrivarono tinche carpionate, lucci e pesce gatto .
I due, tra un pasto el'altro si erano scolati due bottiglie di Arneis bianco a testa ed erano un poco sbronzi.
La padrona, che li teneva d’occhio, sorrideva ai lati e davvero voleva vedere come sarebbe finita.
“
Devo fare due gocce d’acqua.Aspettami qui.”
“Tale, io non mi muovo manco con le cannonate.Finisca come finisca, una mangiata così, me la ricordo per sempre.”
Tale si alzò, e tornò dopo qualche minuto.
“
Già fatto? “
“Quel vino.Esce come entra.Prendi dolce?”
“No, son pieno.”
“E prendilo.Ascoltami.”
“Ti dico di no.Sono pieno.Vuoi vedermi morire.”
“Fossi in te lo prenderei.Al massimo avanzi.O lo porti a casa alla tigre.”
“Che idee fissate hai sempre.Cameriere!Due dolci.”
“
Per dolce consiglio torta di mele oppure panna cotta e crema caramello.”
“Io voglio la torta!”
“Ma se mi dicevi che volevi la panna.Cambiato idea?Sempre così.Su, porta due panne.”
“ Ma io..”
“Vada vada..ha bevuto troppo.”
“Ma cosa…?”
“Ora stai zitto ed esci a testa alta.Padrona!Venga , padrona!”
“Comandi?”
“Beva con noi una volta, alla salute.”
“Se insistete.”
Intanto era arrivata la panna, così anche i commensali in fondo la gustavano con i cucchiaini d'argento.
Mentre Tale parlava con la padrona e raccontava della malora di quei tempi, dal tavolo opposto si sentì un urlo.
Era la Signora Bunamì, che protestava concitata col cameriere.
Anche Ciccotto si ritrovò a sputare nel piatto qualcosa, sotto gli occhi sgranati della padrona.
“
Ma che modi sono? Insomma?”
“Che modi? Qui ci fate mangiare le mosche.Ma che posto è?Più pulita la stalla.”
Ciccotto era realmente arrabbiato e si puliva col tovagliolo ornato d’oro la bocca sporca .
I Bunamì si erano alzati sdegnati e la padrona si scusava inchinandosi con mille moine.
Tale si alzò, facendo cenno a Ciccotto di seguirlo.
Avvicinatosi al Commendatore, prese a dire:
“
Son cose che capitano.Sarà una partita avariata.Cose che capitano.La Signora qui è mia amica, garantisco per lei.Non se la prenda.La Signora le offrirà un bel pranzo domenica, vero?Sicuro, un pranzo con vini e tutto.Su, dimentichi, anche lei Signora Bunamì.”
I due borbottavano, mentre si abbottonavano i cappotti di pelle.
“
Quanto dobbiamo?”
“Ma nulla, cari , nulla.Ci mancherebbe.”
Intanto, Tale si era infilato il cappotto e Ciccotto, che sveglio non era ma nemmeno fesso, si accodò.
La signora Rosa li guardò malissimo, intuendo forse qualcosa, ma Tale , sempre conversando con il Commendatore, la salutò di sfuggita con aria compassionevole.
Ciccotto, che doveva reggersi alla mantenna di ottone tanto era sbronzo, nemmeno ci fece caso.
Per strada i due erano davvero uno spettacolo, con la pancia gonfia e la cintura mezza slacciata per il gran mangiare.
“
Buon pranzo.Peccato quelle mosche.Chissà come sono finite dentro.Una bella scarogna, vero?Fortuna per noi.Dì un po': ti è andate bene eh?Chissà come avresti fatto.Soldi, non ne avevi.Contala giusta.”
Passando davanti al Vespasiano della stazione Tale chiese permesso per fare acqua.
“
Di nuovo? Ma come, non sei andato venti minuti fa?Con quelle mosche poi…Aspetta di andare al Bar almeno.”
Ma Tale di nuovo sorrise, ed entrando nel luogo fetido e finalmente liberandosi, pensò che non tutti sanno apprezzare i doni che il buon Dio ha mandato sulla strada degli uomini.
Mosche comprese.