martedì 22 maggio 2007

Paracarro.


Cominciò a lavorarmi che ci eravamo appena salutati, con quei suoi occhi intriganti e da gatta.

E io me la bevevo con gli occhi, povero fesso.

Non ci mise un granchè a stupirmi col suo turbinare di sorrisi, il suo tempestare di domande e domandine più o meno insolenti, sempre divertenti.

In poche parole mi ritrovai innamorato e inoffensivo a passeggiare sotto la pioggia.

A bere vino scurissimo nei boschi, circondato da candele e a godere della fine del giorno, della notte complice che ci avvolse come un abito nuovo, confondendoci tra le fronde dei castagni.

E per lei arrivai a dire e fare cose infattibili e indicibili.

La amai, fortemente la amai.

Un terrore terribile m'avrebbe avviluppato se fosse scappata.

Fesso.

E fottuto, tanto anche.

Ora che il suo capriccio è passato, ora che è rientrata dalla deviazione della sua Autostrada, nulla resta.

Se non io, paracarro ussaro a quel chilometro che fummo noi, per cinque minuti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

I fatti dimostrarono la verità.
Perchè non fu semplice capriccio.