Ormai non ho molti dubbi.
Dall'alto Antonio Prina mi sorveglia e guida le sue creature , solo alcune ma belle, presso la mia boita.
Non potrebbe essere altrimenti.
Mettiamo questa Prina.
Non la cercavo, eppure mi fu offerta, smontata e da curare un poco, persino portata a casa.
Non volevo credere fosse una Prina fino a quando il mio nasone non sfiorò l'incavo del forcellino posteriore con la P in bella vista.
Allora si che rimasi a bocca aperta e potei passare a contemplare il resto.
Come ogni parte del movimento centrale marcato Prina 34.
Le pedivelle scanellate e la grossa corona a 48 denti.
I mozzi, finissimi per i tempi, anche essi Prina e dotati di foro per oliatore.
I pedali sono i classici Sheffield anni 30, da corsa mentre il manubrio, strettissimo , è completamente in ferro e con leve saldate anziché fascettate!
Freni a mensola spaiati, come del resto spesso mi è successo su bici ancora più conservate: tutto si rompe e si rompeva!
I cerchi sono quelli da mezza corsa del tempo, in ferro tipo R , stretti da 33 mm e calzano copertoncini bianchi da 1 /4.
La sella l'ho aggiunta io: una Brooks comoda e morbida, con l'immancabile camera d'aria in para di scorta sottostante.
Il parafanghino in alluminio davanti fa quello che può: scena e tanta nostalgia!.
Infine una nota sul telaio: leggero, dal colore blu metallizzato che al tempo sarà stato un non plus ultra, con addirittura il passaggio guaina interno al tubo superiore.
Una macchina affascinante, moderna, aggressiva.
Proprio come la volle il costruttore, che mai mi stancherò di ricordare ed onorare, risponde al nome di Antonio Prina.
mercoledì 10 febbraio 2016
Inattesa: Prina Corsa 1934
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