martedì 17 settembre 2013

La Sterlina di Don Cleto


Con quel che prende di elemosina si capisce che si è comprato una bici del genere, dicevano i parrocchiani invidiosi della bella Sterlina di don Cleto.

Era da venire la guerra e la gente andava scalza o con le zoccole di legno e vedere da quelle rive girare una bici era una cosa da fermarsi e stare a guardare .

Gli affari andavano bene in canonica dicevano tutti, ma era un fatto che questo prete venuto dalla città ci sapeva fare e nessuno che si lamentasse o che non fosse venuto a dare una benedizione o scrivere una lettera a quel parente che è tanto che non sentiamo.

Perché da quelle parti in quegli anni l’unica carta che girava erano certi giornali fini come veline che contenevano rèclame e annunci e finivano dritti nelle stufe , accendendosi subito.

Logico che pochi sapessero leggere e scrivere e qui Cleto faceva il suo bello, ricevendo sporte di verdure frutte e magari una monetina per l’anima dei defunti.

Senza perpetue o servitori, Cleto gestiva le anime e i conti della Chiesa, scorrendo ora su ora giù dalle rive impervie , consumando scarponi che il fratello calzolaio gli faceva spessi così per resistere ai geloni degli inverni.

Ma un bel mattino vedove e figlie da maritare se lo videro arrivare con la Sterlina che pareva un generale in parata tanto l’orgoglio ( chi è senza peccato scagli la prima pietra, soleva dire il porporato).




Presa dal concessionario di Ceva, era un tripudio di cromo e luccichii, con la bella sella in cuoio anche essa marcata.

Con questa arriverà prima del demonio” gli disse il venditore indicandogli i cerchi stretti come quelli montati sulle bici da corsa, e quegli lo fulminò come bestemmiatore e pure un piccolo sconto ottenne.


“Non sarà così facile farsi scontare i peccati dal padreterno” gli disse con la tonaca al vento inforcando la bici  e intanto il venditore sentiva  pesare  in tasca 5 lire in meno e la sua anima sempre uguale.

Ne parlò la Domenica che veniva alla predica, da sopra il pulpito, indicando”che tutto il male non viene per nuocere  e che sia pur diavolerie, certe invenzioni rendevano migliore la vita dell’uomo e andavano accettate.

E in fondo alla Chiesa c’erano contadini che andavano in servenza a cinque collinate di distanza per tre soldi e una bici l’avrebbero altro che accettata, anche se coi quattrini che prendevano nemmeno il tubo della sella avrebbero mai comperato.

Ma la vera fonte di reddito di don Cleto era un’altra, e per questa era soprannominato con un nomaccio che qui non riferirò, anche se ancora adesso, dopo quasi 80 anni, molti lo ricordano così.




Cleto andava a fare assistenza spirituale alle donnacce di un casino in città e si dice che avesse avuto una speciale licenza papale per poter entrare senza difficoltà in quel luogo di senzadio.

Vero è che ogni volta che ritornava  lo si  vedeva sbuffare sui pedali contento e paonazzo in viso, non si sa se per i quattrini ricevuti o altro.

Venne la guerra e molti imboscati trovaron rifugio nella canonica del paesello,non troppo fuorimano ma nemmeno in vista come altri che furono bruciati e pieni di morti fucilati.

Cleto aiutava tutti, non guardava il colore della giacca : basta che lasciassero un obolo per la Madonnina e…per i copertoni  o le camere d’aria che cambiava da sé.

Sopravvisse lui, sopravvisse la Sterlina.

La si vedeva ancora parcheggiata sotto la lea della stazione accanto alle moto scoppiettanti quando andava a prendere i nipotini che facevano estate al paesello, lui ormai vecchio e con qualche acciacco.

Con amore e abitudine oliava di tanto in tanto i mozzi con un vecchio oleatorino da macchina da cucire, e, finchè ci furono, fu il confidente delle sventurate che per quindici giorni un mese erano recluse nel casino a soddisfare piaceri e voglie che non erano le loro.

Fu tornando da una di quelle visite che Cleto perse i sensi e la bici giù da una riva.




Rimase poi appesa da qualche parte in canonica ad arrugginire  e riempirsi dei calcinacci che cadevano dalla torre mentre lui trascorreva le giornate che gli restavano a ricordare  e benedire tutti, essendo buono e pieno d'amore.

Pensò ad un estremo moto di avidità l'infermiera che gli avrebbe poi chiuso  gli occhi ascoltando tra le sue ultime parole:

“La mia Sterlina.”

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