lunedì 26 maggio 2014

il prezzo dell'oro.





La notte mandava odori di fieno e terra umida, mentre sopra la salita un manto di stelle pareva un vortice di luci di natale.

Chino spingeva la bici con forza, sudando e facendo attenzione alle siepi ed ai fossi.

In quei giorni ci si poteva aspettare qualsiasi cosa a qualunque ora, e non si sarebbe stupito di trovarsi davanti il suo migliore amico, sten puntato, a minacciarlo o a trucidarlo senza dire amen.

Per quello stava andando alla spianata della Serra.

Per levarsi da quel mondo che la vita gli aveva riservato, dopo anni di schiavenza in cascina, la fidanzata incantonata a 16 anni e un figlio che stava venendo su grande come la fame e poco o nulla da mangiare a casa.

Perché a 20 anni uno ha voglia di vivere e alzare la cresta, e questo andare in giro coi ragazzini a rischiare la pelle e bruciare cascine che magari la prossima sarà la tua , non gli andava proprio più  giù.

Chino sapeva cosa era la fatica, e sapeva le sette croste del pane, ed ognuna era una camicia sudata e ossa rotte, come per comprare la bici, che aveva dovuto litigare con padre e prendere ed andarsene una sera che era freddo e paglia umida.

Pure era servita quella Bianchi, presa nuova dal concessionario di Cherasco e usata su e giù per le stradette a tiraculo e una volta anche contro un carro aveva bocciato, ma era festa e finì tutto a manate sulle spalle e a chi beveva prima il litro.

Per guadagnare qualche soldo aveva trovato lavoro come campè, che per chi non lo sapesse è il mestiere di aprire e chiudere le chiuse e va fatto a qualsiasi ora specie d’estate quando c’è il soffoco e le piante chiedono acqua come ubriache.


Per due anni si era alzato alle 3 4 di notte, per quello quella sera nessuno si sarebbe stupito di vederlo girare con la Bianchi.

Doveva impagliarsela, e se tutto andava bene tra un anno avrebbe fatto vedere a tutti come si vive.

Ne aveva alto così con tutti e un pelo sullo stomaco che pochi alla sua età potevano vantare.

Nel gruppo dei partigiani in cui era, aveva sentito del lancio dei pacchi una sera che era di guardia vicino alle staffette ed al comandante.

Non solo viveri la prossima volta, anche questi…” ( e intanto aveva scorto l’inequivocabile segno del pollice che sfrega contro l’indice).

Bene aveva fatto a farsi mandare un paio di volte, avendo lui la copertura del lavoro notturno, e a riportare tutto senza spacchettare nulla, convincendo il compagno che ci sarebbe stato da guadagnarci ad essere onesti, di non fare il babau e rigare dritto.

Cesco, che furbo come lui non era ma si fidava e aveva tre anni in meno, aveva capito al volo e non si era fatto prendere a toccare nulla.

Per quello mandarono avanti lui quella notte, lui solo che dava poco nell’occhio essendo anche guardiano dei campi e addetto alle chiuse delle bealere.

Come sempre, prendi e porta a casa nel tascapane.Se vedi gente, spara o squaglia.Ma porta tutto, intesi?E non aprire!Mai!”

“Ma ce la faccio da solo?”

“Pacco piccolo ma importante, sulla canna della bici sta tutto.”

Chino aveva parlato solo a Rosina, più giovane di due anni ma sveglia e forte e coraggiosa, tutto aveva detto, anche dei sei sette mesi almeno che non si sarebbero visti .

Dopo, se andava bene, avrebbero fatto lusso.

Le sorelle , i fratelli e meno che meno il padre mai avrebbero dovuto saperlo.

Piuttosto morto, ma non al padre, esempio di rigore e onestà che mai avrebbe capito quel gesto.

Per quello se la volle stringere di più quella sera , col piccolo che capiva tutto e piangeva , pur vedendo il padre freddo e asciutto più di quello che era sempre..


Non incrociò nessuno  sino al bivio del Mottarotto, da dove partiva la stradina per la spianata.

Qui gli aerei alleati mandavano pacchi viveri in gran segreto e solo il comandante e pochi altri sapevano tempi e modi.

Fu un caso che lo mandassero solo, e fino all’ultimo pensò se dirlo a Cesco, ma poi si rivide tutto, proprio tutto si rivide e pensò alla moglie e al figlio, e  agli anni che sarebbero venuti e ai discorsi di padre e madre e così preso l’ordine tirò dritto e nessun pensiero, se non quello di riuscire.

Aveva avuto pochi giorni per preparare tutto, ma era furbo e riuscì bene, a cominciare dalla fascina dietro una siepe che sapeva, piena di rami fitti ma vuota dentro per nascondere i soldi e il tascapane.

Tutto aveva previsto, anche l’amico di Genova che lo avrebbe nascosto per sei mesi in una cantina buia di via Prè, pagando s’intende, ma “se tutto andava bene, quel buco te lo pago come un grand Hotel.”

La guerra era alla fine, non riusciva ad immaginare un altro anno come quelli.

Sudava, nella camicia bianca e nella vestimenta.

Non ci sarebbe stato tempo di tornare a casa  e spiegare , bastava fare cosa si doveva, andare in bici fino a Bra, prendere il vapore per Torino e qui per Genova.

La bici l’avrebbe ritrovata Rosina, in un posto che sapevano dentro un boschetto di albere.

Come morto sarebbe stato e fino alla fine aveva pensato se non sarebbe stato meglio fingere proprio questo, ma vide la faccenda complicarsi e lasciò perdere.

Non pensava a nulla, quando vide il buio e il fresco dello slargo, a nulla quando accese il fuoco di segnale.

Basta che quei mangiacrauti non vedano”, pensava, era il 1944 e faceva caldo a farsi prendere accanto ad un fuoco in piena campagna alle due di notte.

Nel freddo e nella luce gli riuscì per qualche istante  di non pensare,di non immaginare  alle ritorsioni che avrebbero potuto  fare ai suoi.

Era la sua occasione e avrebbe sacrificato l’ultima briciola di onore per averla.


Non fece tempo ad accendere la Milit che un rombo , come un tuono, venne da lontano.

Ci sono, Madonna delle grazie fa che ci sia cosa si deve e ti regalo mille lire.No, duemila.”

Non fece tempo a pentirsi dell’offerta, che qualcosa di giallo cadde dal cielo attaccato al solito grosso paracadute.

Come fece a venire se ne andò, e lui corse, corse proprio come ci fosse la vita in quel pacco e lo guardò un istante prima di fare ciò che mai aveva  fatto prima.

Come a nascondersi dal peccato che andava a commettere, si mise dal cespuglio e lo scartò con la grazia di chi sa le cose rare  ed irripetibili.

E sotto ai giornali e i fogli di burocrazia li vide, belli e grandi che odoravano di fresco, e  toccarli era un piacere.

Li annusò e li guardò per un istante che parve eterno, doveva capire che erano veri, che non era uno scherzo e mentre li guardava, studiava in giro , sentendosi come un lupo che ha azzannato la preda e non la vuole spartire con nessuno.

Tutto filò liscio, nessuno si intromise e la pistola che aveva nelle braghe non servì a nulla.

L’avrebbe buttata prima di entrare in Bra, e da lì in avanti solo Dio con lui e quei soldi.

Pur cercando di mantenere un decoro, sudava fitto ora.

Sapeva che se l’avessero pescato, partigiani o crucchi, l’avrebbero impalato dove era.

Ogni metro gli costava sudore e fatica e capì bene quel era il prezzo dell’oro e che chi aveva soldi in qualche modo se li era guadagnati, comunque.


Arrivò a Bra che era l’alba quando  la prima luce dona forma e contorno alle cose .

Non si voltò a guardare la bici , solo si preoccupò di nasconderla bene e che nessuno la trovasse per almeno qualche giorno.

Poi, Rosina l’avrebbe presa.

Camminando nella solitudine della piazza, davanti alla pensilina, aspettò che la biglietteria fosse aperta, fumando una sigaretta dopo l’altra.

Anche lì gli andò bene, perché essere presi a venti anni con un tascapane di soldi c’era da essere spediti piombati in Germania e ringraziare se non c’era del piombo pronto subito da digerire per l’eternità.

Ma nessuno passò, e dopo un quarto d’ora si presentò al bigliettaio, chiedendogli asciutto:

Genova, un biglietto.”

“Solo andata?”

Speriamo, rispose.

(ndr : la bici protagonista di questa storia ( vera) , è proprio la Bianchi del 1942 raffigurata nelle fotografie)








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